È sempre affascinante osservare come l’ Occidente continui a girare e rigirare attorno a certe storie, che per la maggior parte sono state originate nella Grecia antica. È come se, in quel tempo remoto, da quel piccolo popolo fosse stata allestita la scena, una volta per tutte, e per quanta storia sia trascorsa sotto i ponti, tuttora su quella scena ci troviamo tutti quanti, ancora adesso, a recitare. Quelle storie continuiamo a rigirarle, ci accompagnano e seguono, ci ammoniscono e confortano, ci mostrano la strada, dopo millenni. Da lì è cominciato tutto, anzi ancora prima, da un pugno di storie fantastiche tramandate per chissà quante generazioni prima che qualcuno le mettesse per iscritto.
Prendiamo Odisseo – Ulisse. La sua storia era già vecchia di secoli quando Socrate scandalizzava gli ateniesi benpensanti con i suoi discorsi in piazza. Eppure la storia di Odisseo – Ulisse non è mai stata archiviata, ha accompagnato l’ Occidente per tutta la sua storia, da Omero attraverso Dante, fino a Kavafis, Joyce, Walcott, tremila anni ed ancora non va in soffitta.
È chiaro, il personaggio è cambiato nei secoli e continua a cambiare, l’ eroe omerico voleva soprattutto tornarsene a casa sua, è stato Dante a farne il campione di una curiosità addirittura arrogante, che può condurre alla rovina, gli Illuministi invece lo vedevano eroe della volontà di conoscenza, il Novecento lo vide invece inquieto, in preda al male di vivere, insomma ogni età ha avuto un Odisseo diverso. Ma del resto, già in apertura del poema omerico l’ eroe viene definito “polytropos”, multiforme, dai molti aspetti, un camaleonte, e dunque dov’è la sorpresa ?
L’ ennesima reincarnazione del mitico eroe la trovo in un affascinante e raffinato libro di Daniel Mendelsohn, non a caso intitolato “Un’ Odissea”, come a dire un’ altra, ancora una fra tante.
Daniel Mendelsohn, già autore del libro-documento sull’Olocausto “ Gli Scomparsi”, è un docente universitario di lettere classiche. L’ anziano padre, Jay Mendelsohn, è invece un ottantenne matematico-ingegnere in pensione, uomo severo e rigido nei propri principi, con una passione repressa e mai spenta per la cultura classica.
Il professor Mendelsohn viene dunque incaricato di tenere un seminario universitario sull’ Odissea, ed il padre, un po’ a sorpresa, gli chiede di poter assistere.
Sin dal primo incontro, però, appare chiaro che l’ anziano Jay Mendelsohn non si limiterà affatto ad “assistere”, intende partecipare eccome, e dire la sua, coinvolgendo gli studenti, provocando discussioni con le sue idee, polemizzando. Un incubo. Al figlio non resta che fare buon viso a cattivo gioco.
Perché mai dovremmo considerare Odisseo un eroe ? È questo il punto centrale delle questioni che Mendelsohn padre solleva. In fondo Odisseo è un pessimo comandante, perde tutte le navi e tutti i suoi uomini, in parte perché non riesce a farsi ascoltare da loro. Per di più tradisce la moglie, è bugiardo e, parliamoci chiaro, le avventure che racconta sono così incredibili da giustificare il sospetto che se le stia inventando di sana pianta, o quantomeno che ci ricami attorno parecchio. E poi, scusate, che razza di eroe è uno che piange continuamente, che ad ogni passo ha accanto una dea pronta a spiegargli dove andare e cosa fare ? Quale merito ha lui nelle sue imprese se viene sempre aiutato ?
È chiaro che per il vecchio Mendelsohn, Odisseo è l’ antitesi del self-made man, è tutto ciò che un vero uomo non dovrebbe mai essere. L’ opposto di un eroe.
Le domande impertinenti del vecchio padre vivacizzano il seminario, tuttavia, tanto che al termine del semestre padre e figlio decidono di partire insieme per una crociera “sulle tracce di Odisseo”.
L’ Autore alterna con eleganza ed abilità il resoconto degli incontri al college, scanditi dai libri del poema, al racconto delle vicende personali dell’anziano genitore. Ne racconta il passato, il progressivo declino fisico, fino alla graduale (e tardiva) scoperta delle sue debolezze e fragilità, così bene nascoste a tutti, per una vita intera, sotto l’ immagine di uomo tutto d’ un pezzo.
Ma allora, sembra chiedersi l’ Autore, neppure Jay Mendelsohn era un vero eroe ?
Un inciso.
Viene naturale associare l’ eroismo ad una serie di caratteristiche positive quali forza, determinazione, costanza, tenacia, fermezza. Quella che viene chiamata resilienza, cioè la capacità di reggere ai colpi del destino, e rialzarsi ogni volta. E poi la bontà, naturalmente, la generosità e la nobiltà d’ animo. L’eroe è senza macchia e senza paura, ce lo insegnano da piccoli, non è vero ?
Il problema è che gli eroi, così come i santi, non sono affatto così. O almeno, non sono SOLO così.
Jung ha mostrato che tutto ciò che è illuminato non può non avere un’ ombra, solo nella tenebra totale non ci sono ombre. Quanto più intensa la luce, tanto più scura l’ ombra proiettata, e la luce che investe gli eroi è intensissima. Possiamo rifiutarci di vederlo, naturalmente, ma tutto ciò che rimuoviamo ritorna sempre alla carica, e spesso in forma di malattia.
I Greci questo lo sapevano benissimo. I loro eroi sono uomini, “larger than life”, d’ accordo, ma umani, superano i comuni mortali nel bene così come nel male. Tipi poco raccomandabili, spesso. Forti e coraggiosi, curiosi ed avventurosi, ma anche, al bisogno, perfidi, traditori, cattivi, o persino deboli, come Agamennone ucciso dalla moglie infedele al suo ritorno, o come lo stesso Odisseo, che piange a dirotto davanti al fantasma della madre. Gli eroi classici sono rotondi e non piatti, si stagliano contro la luce e proiettano ombre distinte, ci mettono di fronte a ciò che siamo e talvolta preferiremmo ignorare di essere. E forse è proprio questo il motivo per cui sono modelli universali ed eterni, di cui non riusciamo a fare a meno.
Ed ecco infine il cerchio chiudersi, la narrazione farsi circolare, nel poema così come nella famiglia Mendelshon, attraverso il riconoscimento tra padri e figli. Da Telemaco che incontra Odisseo per la prima volta e dunque “ha poco da riconoscere”, come nota uno studente, allo stesso Odisseo che rinuncia ad ingannare il vecchio padre Laerte, perché “un figlio, per quanto appartenga a suo padre, non lo conosce mai del tutto, perché il padre lo precede; ha sempre vissuto molto più del figlio, perciò il figlio non può mai mettersi in pari, arrivare a sapere tutto di lui”.
Fino a Daniel Mendelsohn stesso, un po’ Telemaco, un po’ Odisseo, che per la prima volta, attraverso una sorta di viaggio sentimentale, arriva a scoprire davvero l’anziano genitore.
Per finire con il lettore, che si trova a condividere pensieri profondi e riflessioni non banali su cosa significhino realmente i rapporti in una famiglia.