Sono in missione per conto di Dio ?
Beh, non esageriamo. Però oggi è una giornata speciale, questo sì.
Escursione solitaria, ed è così che deve essere. Una giornata di silenzio e di ascolto, sembra una contraddizione ma non lo è. Nel chiasso senti solo chiasso, per ascoltare serve il silenzio.
Per ascoltare cosa, si vedrà strada facendo.
Dunque sveglia all’ alba, e sono il primo a scendere per la colazione, poi via subito in macchina, anche questo sembra un paradosso ma non lo è. Mi piacerebbe assai partire dall’ albergo già con gli scarponi ai piedi e lo zaino in spalla, e si potrebbe pure fare, il sentiero da Madonna di Campiglio a Sant’ Antonio di Mavignola è bello e facile, ma aggiungerebbe una quindicina di chilometri all’ escursione che ho in mente oggi e, soprattutto, quattrocento metri di dislivello in salita di cui stasera non sentirò il bisogno. Il programma di oggi è già ottimo ed abbondante.
Prendo l’ auto dunque, scendo verso S. Antonio ed imbocco la Val d’ Agola percorrendo una strada sterrata fino a quando termina in un piazzale. Un rapido calcolo per individuare dove arriverà l’ ombra nel pomeriggio. Raramente ci azzecco, ma tentare non costa nulla. Parcheggio.
Segue la consueta rituale vestizione, calzettoni, scarponi, fazzoletto al collo, zaino ben assestato, il rituale è tanto più accurato quanto più l’ escursione è lunga ed impegnativa, anche una minima piegolina nella calza può diventare una tortura dopo quattro ore di cammino. Meglio perdere qualche minuto in più per sistemarsi bene, dunque, che fermarsi dolorante a metà strada.
Che poi l’ idea di tempo perduto, o guadagnato, è la solita maledetta idea da maledetto cittadino che qui, almeno qui, dovrei cercare di sradicare. È davvero tempo perso questo, alle otto del mattino nel bosco che si sveglia, tra fruscii d’ acqua che scorre e mille versi di uccelli che si intravedo sfrecciare bassi fra i rami ? E’ tempo perso, assaporare l’ aria fresca ed il cielo azzurro e questi colori così intensi che sembra un viaggio nell’ iperrerealtà, pare quasi che abbiamo fatto un mondo tutto nuovo stamattina, che sono io il primo a vedere ?
O non è forse invece tempo vivo, vivo come di rado capita di goderne ?
Respiro nel respiro del bosco, e siccome respiro, alito, vento, nient’ altro che questo è il vero ed originale significato della parola “anima”, ecco che l’ anima qui sento, dentro e fuori di me, nel bosco e nel silenzio. L’ anima è ciò che ascolto, né più né meno.
La prima parte della camminata è una lunga marcia di avvicinamento, questo lo sapevo già dalla guida e per esperienza diretta, il percorso che risale fino al lago l’ ho già fatto un’ altra volta. Quello che non sapevo è che la strada la stanno rifacendo, e dunque è chiusa anche ai camminatori e mi tocca seguire le deviazioni, allungare il percorso, salire, scendere per risalire e ridiscendere ancora, ed insomma, ci metto parecchio più del previsto ad arrivare fino al lago, e fatico anche più di quanto pensassi. Pazienza, non serve neppure dirlo, che pazienza ne ho e se non l’ avessi, la montagna me l’ avrebbe ormai insegnata.
Ma ogni difficoltà è anche un’ opportunità, e la deviazione ha almeno questo di buono, che mi porta più addentro nel bosco, dove con la strada di prima non sarei arrivato, e dove, a quanto pare, l’ anima del bosco nutre qualche giovane emanazione.
Naturalmente, un capriolo è solo un animale, ed un animale l’ anima non ce l’ ha, non ce la può avere, questo dicono i sacri testi, ma allora perché si chiama animale ? E dunque, con buona pace dei teologi, saluto l’ anima animale e proseguo il cammino.
Un gruppo di ciclisti mi sfila, sono un occasionale biker io stesso, guardo le bici, saluto, loro scompaiono rapidamente, fino al lago il sentiero è largo e facile, si può fare anche in bici, anzi si fa prima, però dopo io proseguirò e loro no, così va coi mezzi interposti che più sono e più si interpongono.
Non farei cambio, oggi.
Ci metto dunque più di un’ ora ad arrivare al lago, e lì mi concedo la prima pausa, seduto accanto a due vecchietti arrivati lì chissà come. Pescano e litigano fra loro. Cosa abbiano pescato non lo so, ammesso che qualcosa abbiano preso, io ho visto solo pesciolini piccolissimi…
Ma la giornata è così bella da bastare a se stessa, e questo probabilmente hanno pensato i due, e lo penso anch’ io.
Il lago è uno spettacolo da sembrare finto, così perfetto, rotondo e circondato dal bosco, più lontano i monti innevati vengono riflessi capovolti sull’ acqua limpidissima. Il sentiero costeggia sulla destra, poi senza preavviso si stacca comincia a fare sul serio salendo con decisione, così che in poco tempo mi trovo ad osservare il lago ad ogni tornante come da un aereo.
Ce n’ est que le début, viene da dire.
Superato il bosco, il sentiero finalmente si apre su un vasto altopiano e per la prima volta vedo, all’ orizzonte, la mia destinazione, talmente lontana ed in alto da apparire quasi irraggiungibile, un miraggio, un mito, il castello del Graal ed io un misero Parsifal alla ricerca di qualcosa che forse non esiste.
Ma il rifugio quasi irraggiungibile esiste, e allora mi aggrappo a quel “quasi” e mi dico che basta fare un passo dopo l’ altro, un passo alla volta ed ogni passo fatto è un passo in meno da fare.
Quasi quasi mangio una mela.
Riparto dopo la pausa di buona lena, ma le prove iniziatiche non finiscono qui, né me lo sarei atteso, al pari di ogni buon cavaliere errante.
E così, finito di attraversare l’ altopiano, mi trovo ai piedi di un ghiaione da attraversare a mezza costa, e qui il cammino si fa davvero faticoso, la ghiaia si muove sotto gli scarponi, frana e fa perdere l’ equilibrio.
Stringo i denti e proseguo, un passo dopo l’ altro, per un tempo che mi sembra infinito.
Il sole è alto nel cielo ormai, fa molto caldo e devo razionare l’ acqua.
Finito in qualche modo il ghiaione, tocca alla roccia, il sentiero si fa ripido e secco, non c’è più erba, non c’è più nulla se non roccia grigia e chiazze di neve, non di rado devo aiutarmi con le mani, il cammino si va davvero lento, c’è da soffrire e da portare pazienza, altra pazienza.
L’ ultimo tratto lo chiamano “Scala Santa”, addirittura, forse vogliono dire che quando uno ci arriva vede la Madonna, ma oggi la fortuna non mi aiuta, la scala, che è una vera scala con i gradini di metallo, è sepolta sotto la neve e non è praticabile, hanno segnato un percorso alternativo con le bandierine di metallo, ma è ancora più duro, bisogna tirarsi su con le gambe e con le mani insieme e dopo quasi quattro ore di energie non ce n’ è più così tante.
Però l’ essere umano è strano e quando si pensa di non farcela più ce la si fa ancora, il limite è sempre più in là di dove te lo aspetti, e questo è forse l’ insegnamento più bello dei miei anni di montanaro dilettante, sei un po’ più forte di quanto pensi, sempre. E dunque avanti un passo alla volta, ormai non manca tanto, il rifugio lo vedi, è lì, ti guarda con le sue finestre bianche ed azzurre, non posso certo pensare di rinunciare adesso e difatti non ci penso, ancora qualche passo e spiana, solo che camminare in piano mi riesce quasi strano dopo tutto questo arrampicare, ma ormai è fatta, è lì, sono arrivato al castello del Graal, non ci posso credere.
I Dodici Apostoli, speroni di roccia nuda e scabra mi guardano muti.
Quasi barcollando entro. Ci sono solo io.
Non so com’è, ma me l’ aspettavo, ci contavo quasi. È così che deve essere.
Ordino una birra, torno fuori, mi schianto sulla panchina, al sole.
Non ci sono per nessuno.
Resto così, la birra che mi rinfresca, gli occhi socchiusi, il calore del sole sulla pelle, sì lo so che stasera mi troverò tutto rosso in volto, ma non me ne può importare di meno, sono tutto sensazione tattile adesso, e odorato e udito, la vista no perché gli occhi li ho chiusi, diamo un po’ di soddisfazione anche agli altri sensi.
Sarò io che mi lascio andare, sarà la stanchezza, ma mi pare di sentire persino un battito lontano, come se fosse il battito del polso, però sta diventando più forte, più vicino, non ci sono dubbi, e pur se non ne ho voglia mi tocca aprire gli occhi per guardare quello che sta succedendo, il rumore è proprio forte adesso.
Un elicottero.Che ci fa qui un elicottero ?
Non c’è motivo, nessuno si è fatto male, anzi non c’è proprio nessuno che possa farsi male visto che ci sono solo io, del resto quelli del rifugio le provviste le fanno arrivare con la teleferica, e allora che ci fa qui questo rumoroso aggeggio ?
Volteggia avanti e indietro, si ferma per aria, infine si posa sulla piazzola apposita e, se Dio vuole, spegne il motore.
Lo sportello si apre, scende un tipo, calzoncini kaki e sahariana, occhiali a specchio e berretto in tinta.
Sta parlando al telefono, anzi urla per superare il rumore del vento e delle pale dell’ elicottero.
“Sì, dovresti vedere, è bellissimo, qui !. No, non ci vuole molto ad arrivare, ci abbiamo messo neanche venti minuti, dovresti vedere che spettacolo !”. Ordina a gesti una birra, che tracanna di un fiato.
“Adesso facciamo il giro dall’ altra parte” urla, “poi torniamo giù. Ma è una meraviglia, credimi !”.
Gli sto augurando mentalmente ogni genere di sofisticato supplizio cinese, faccio anzi uno sforzo per riportare alla mente le più efferate torture di cui sia a conoscenza, ma non faccio in tempo a completare l’ elenco, lui intanto ha finito la birra, ha pagato e sta già ritornando verso l’ elicottero. Riparte, se ne va ed è la prima cosa che apprezzo di lui da quando l’ ho visto.
Il silenzio ritorna sovrano, ed è quello che mi serve per fare ciò che sono venuto a fare, qui.
Mi affaccio dal terrazzo del rifugio, il sole allo zenit, davanti a me la vallata imponente, le Dolomiti di Brenta, un paesaggio in cui sperdersi per ritrovarsi. Il vento fischia forte, adesso.
Il vento.
Ànemos.
Anima.
I Dodici Apostoli mi guardano muti.
Sono qui per rendere omaggio ad un uomo, una persona che ho conosciuto ed ammirato. Un uomo vero, a cui, con maschile e silenzioso pudore, ho voluto bene.
Era un alpinista ed un vero appassionato di montagna, e non ho dubbi che avrebbe preferito essere commemorato qui che in una chiesa di periferia.
Non ho dubbi perché è quello che piacerebbe anche a me.
Cenere alla cenere, anima al vento.