«Così come il mandrillo non può mortificare la retorica delle sue chiappe policrome, così non potremo toglierci di dosso, deliziosa maledizione, questo pieghevole vello di verbi»
G. Manganelli – Letteratura e Menzogna
A giocherellare con l’ origine e l’ evoluzione delle parole si finisce spesso assai più in là del previsto, ed è proprio questo a rendere l’ etimologia un modo assai intrigante di passare il tempo.
Ad esempio, uno comincia col chiedersi da dove venga la parola “mente” ed in men che non si dica si trova avviluppato nel ginepraio di una famiglia assai numerosa di termini accomunati da insospettabili e stravaganti parentele. Un po’ come le famiglie vere, a volerla dire tutta…
Tutto nasce, come al solito, da una radice indoeuropea che suona più o meno come “mâ”, uno di quei termini polivalenti comuni nelle lingue arcaiche, che indicava contemporaneamente il concetto di “misurare” qualcosa, ma anche quello di “formare” qualcosa. Questa ambiguità, naturalmente, non deve stupire più di tanto, le radici originarie sono relativamente poche, un linguaggio si arricchisce e si ramifica strada facendo, per decine di migliaia di anni prima che qualcuno cominci a metterlo per iscritto e codificarlo.
La radice “mâ” ha dunque un primo significato che è “dare forma” a qualcosa, e da qui viene un primo gruppo di parole di cui le più importanti sono “materia” e “madre”. La parentela è rimasta assai più stretta in inglese (“matter” e “mother”). Dalla seconda accezione “misurare” viene naturalmente il metro (“meter” in inglese), la “mano”, ma anche, ed è quello che ci interessa, ne deriva il collegamento all’ atto del pensare. Strano sì ma non troppo, se ci ricordiamo che parole come “pensare” o “ponderare” sono chiaramente legate all’ atto del pesare. Ma non divaghiamo…
La radice “mâ” intesa come “misurare” genera dunque abbondante figliolanza, a cominciare dal tedesco “mann” e dall’ inglese “man”, cioè, puramente e semplicemente “uomo”. Che l’ uomo sia misura di tutte le cose, come sosteneva Protagora, sembra persino essere quasi una tautologia. Da “mâ” viene il termine greco “ménos” il cui significato è il “senno” e dunque (era ora !) la mente, attributo specificatamente umano.
Ora, a me pare già un fatto notevole che due termini così antitetici da essere stati messi in opposizione dialettica da quasi tutta la tradizione filosofica degli ultimi millenni, rivelino invece un’ insospettabile origine comune ed una parentela assai stretta. Fossi Cartesio, un po’ ci resterei male.
A dire il vero, un sospetto poteva venire osservando come la trasmissione del sapere verso le menti dei giovani avvenga, in tutte le scuole, suddividendo il sapere medesimo per l’ appunto in “materie”…
Ma non finisce qui.
Dal “mâ” indoeuropeo e dal “ménos” greco, infatti, derivano tutta un’ altra serie di parole, e qui entriamo nel campo degli zii più eccentrici. Basti citare il termine “medico” o “matematica”, “imitare”, “mania” nonché le Muse in generale ed una di esse (Mnemosine) in particolare, senza dimenticare la più intellettuale delle dee latine, cioè Minerva. Ma soprattutto deriva “mentire”. Per quanto strano possa sembrare, nel greco antico non esiste una parola che indichi la menzogna, esiste il falso (“pseudo”) ma non propriamente il bugiardo, Ulisse è definito ingegnoso, astuto, multiforme, tutto fuorché bugiardo…
Pare quasi che uomo, mente e menzogna siano un tutt’ uno, un pacchetto indivisibile da prendere o lasciare, i cui componenti non possano essere separati. Sorprendente, sì, ma dopo tutto nemmeno troppo.
L’ inganno è una delle più importanti strategie di sopravvivenza che l’ evoluzione abbia sviluppato. Fiori che sembrano insetti, insetti che sembrano foglie o rami secchi, pesci che sembrano sassi e serpenti che sembrano liane, niente o quasi è come sembra.
Perché l’ uomo dovrebbe essere diverso ? Semplicemente, per dirla con Giorgio Manganelli, il vero manto mimetico dell’ uomo è sempre stato il suo linguaggio.
“Da sempre si aggira sulla terra, in diverse e riconoscibili incarnazioni, un uomo singolare: scostante, e affascinante; tiene del sordido, e certo dell’ambiguo; e alla spregevolezza mescola qualcosa di grandioso. Lo si direbbe imperfettamente umano: sebbene sia difficile dire se la sua sottile inesattezza venga da commistione angelica o animale. È il Grande Mentitore.”