Ciò che produce tutto questo non è più l’ uomo in quanto uomo, bensì una reazione a catena da lui provocata. Nella misura in cui oltrepassa i limiti della physis umana, essa trascende anche qualsiasi dimensione interumana di ogni possibile potere di uomini su uomini.
Carl Schmitt, Dialogo sul potere
Il l male nasce nel rapporto con la libertà, con la scelta volontaria e la responsabilità che questa possibilità di scegliere comporta.
L’ animale è solo istinto, non sceglie, fa quel che deve, e questo lo pone al riparo dalle domande sul bene e sul male. L’ animale caccia, uccide, divora, ma in tutto questo non c’è coscienza, è un seguire istinti meccanici: fame = caccia.
L’ uomo può scegliere.
Non sempre, naturalmente. Ma proprio nei casi in cui scegliere non può (ad esempio la reazione di un individuo aggredito, allo scopo di salvarsi la vita) la questione del male non si pone proprio.
Quindi il problema del male nella natura umana, senza scomodare divinità o demoni, si riduce alla scelta del male, il nuocere deliberatamente quando si avrebbe la possibilità di scegliere diversamente. Il male intenzionale e volontario.
Il male gratuito è solo umano perché solo umana è la scelta di esercitarlo oppure no. Ed il male è tanto più umano quanto più è estremo, perché proprio nella mancanza di ragionevolezza, di misura, di motivazione, di giustificazione, proprio in questo manifesta la sua origine arbitraria, cioè letteralmente radicata nel libero arbitrio.
Al pari della bontà senza compromessi e della generosità senza tornaconto, si capisce.
Benché a tutti capiti ogni tanto di agire in funzione di capricci passeggeri, almeno le decisioni importanti si tende a prenderle a ragion veduta, cioè dopo aver analizzato le ragioni a favore e contro.
Qui la faccenda si complica.
Perché spesso le ragioni ci sono sia a favore che contro ed allora la questione è quella di selezionarle in un certo ordine, di attribuire maggiore o minore peso a ciascuna, e l’ uomo ha un’ abilità veramente suprema nel trovare giustificazioni razionali al suo comportamento.
Prendiamo ad esempio l’ ubbidire all’ autorità. Chi potrebbe biasimarmi se compio un’ azione in funzione di un ordine ricevuto da un genitore, o da un superiore, o da un datore di lavoro, o da un cliente, o da un’ autorità comunque legittimata a dare disposizioni ? La disciplina, la lealtà non sono forse valori ?
L’ operaio:
– se il mio caposquadra mi ordina di tagliare un albero io lo taglio, no ? chiedete a lui.
Il caposquadra:
– se l’ ingegnere mi ordina di spianare questo tratto io devo far abbattere gli alberi, no ? chiedete a lui.
L’ ingegnere:
– se il mio capo mi ordina di costruire la strada io devo far spianare, no ? chiedete a lui.
Il capo:
– se il mio padrone prende l’ appalto per fare la strada io poi devo farla fare, no ? chiedete a lui.
Il padrone:
– se l’ Amministrazione Pubblica bandisce un concorso io partecipo, no ? chiedete a loro.
L’ Amministrazione:
– se il Governo decide di fare nuove infrastrutture io devo farle fare, no ? chiedete a loro.
Il Governo:
– per lo sviluppo ed il benessere del Paese sono necessarie nuove infrastrutture. Il popolo ci ha votato per questo., no ? chiedete a loro.
Già.
Che c’è di male ?
O meglio, dov’è che il male si infila dentro, in questo rosario di scaricabarili in cui sempre sembra di tornare al punto di partenza ? Chi ha la responsabilità di aver tagliato l’ albero, alla fine ? Chi ha la responsabilità della distruzione delle foreste ?
Perché si cerca petrolio nell’ Artico o in fondo al mare ? Per una passione devastatrice o perché noi, proprio tutti noi, abbiamo uno stile di vita che lo pretende ?
Chi ha la responsabilità dell’ effetto serra ? Della scomparsa dell’ ozono ? Del riscaldamento globale ?
Nessuno o tutti.
Forse è l’ idea di responsabilità a metterci fuori strada, forse è un’ idea troppo ristretta per rendere conto di quello che cerchiamo di dire.
Gli antichi avevano un’ idea più ampia di queste cose, un’ idea che si è mantenuta nella giurisprudenza e forse solo lì, l’ idea che si possa essere colpevoli senza essere responsabili. Colpevoli, a volte consapevoli, pur senza intenzione, credendo di far bene, non volendo nuocere, a volte stretti in un’ alternativa del diavolo.
La tragedia classica ne è piena, del senso della colpa.
Consideriamo Oreste, preso fra la necessità, il dovere di vendicare l’ omicidio del padre, ed il vincolo di sangue nei confronti della madre assassina. Oreste decide di uccidere la madre, è vero, perché così vuole la consuetudine, ma subito dopo è costretto alla fuga, inseguito dalle Erinni. Ha versato il sangue della madre, è colpevole, ed il fatto di essere stato costretto a farlo da un altro dovere non eludibile non fa venir meno la sua colpa. La vita è tragica, e certe volte non si può vincere.
Consideriamo Amleto, anche lui deve vendicare il padre, uccidendo gli assassini, che sono sua madre e lo zio. La situazione è assai simile a quella di Oreste, ma Amleto è un personaggio moderno, il peso della responsabilità gli piomba addosso prima ancora che levi la mano per compiere il suo delitto riparatore. Vacilla, esita, perde il senno, o forse no. Cerca disperatamente un pretesto, un motivo per venirne fuori innocente, per non macchiarsi dei delitti, per sfuggire al destino. Ma il modo non c’è. Si dovrà sporcare le mani, rendersi colpevole, non c’è via di scampo. Si è colpevoli, persino quando è il destino a barare.
Consideriamo Edipo, infine, neonato abbandonato dal padre, ritorna a Tebe da adulto e lo uccide, senza riconoscerlo, per un banale diverbio, poi sposa la madre, senza sospettare che sia la propria madre, e con lei genera figli. Come può essere responsabile di ciò che non sa ? Beh, responsabile forse no, ma colpevole sì, colpevole di fronte a se stesso, e per non vedere più se stesso Edipo si acceca, fugge alla ricerca di un’ impossibile redenzione. Impossibile perché non c’è redenzione nel mondo tragico, e la colpa, quale che sia, ricade persino sui figli dell’ unione incestuosa, Eteocle e Polinice si uccideranno a vicenda.
La colpa è predisposizione, occasione di danno, non atto d’ intenzione, ma semmai difetto di attenzione, omessa vigilanza, incauta attitudine, mancata prevenzione, semplice disdetta. La colpa è destino, ed in qualche misura è anche predestinazione o fato. Esclude l’ intento, ma non ripara dalle conseguenze.
Siamo colpevoli anche oggi, tutti e ciascuno. Colpevoli di vivere in un mondo sovraffollato dove la specie umana ha assunto un carattere infestante. Colpevoli di consumare il mondo, ognuno per la sua parte, lasciando un po’ di meno a chi verrà dopo. Colpevoli di sopravvivere, dove la sopravvivenza è un lusso o privilegio non a tutti concesso. Colpevoli di essere nati dalla parte giusta del mondo, per di più, senza averne merito o ruolo. E per questo, doppiamente ingiusti verso chi è nato dalla parte sbagliata. Non si è responsabili di essere nati in un posto invece che in un altro, d’ accordo, ma del destino occorre farsi carico.
La redenzione passa attraverso la responsabilità, chi più ha più risponde, il destino è un carico sulle spalle, un bagaglio da portare con se, una forzatura da assecondare. La colpa va riscattata, il destino va redento, vale a dire, letteralmente “ricomprato”, proprio come uno schiavo ricompra la sua libertà diventando liberto.
Sarà il senso della colpa a salvare il mondo ?