Sul calesse

 

“Felice d’essere saggio e non altro,
Perché gli uomini migliorano con gli anni”

William Butler Yeats

 

Questo blog è parte di me.

L’ho aperto più di dieci anni fa, un tempo che equivale ad un’era geologica per i ritmi di cambiamento del web. I social, per dire non erano ancora tanto diffusi, ed era giusto l’anno in cui Steve Jobs presentava il primo iPhone.

Io stavo in un cantiere nel Medio Oriente, e lì il venerdì c’era poco da fare, troppo caldo per andare in giro, troppo lontani i centri commerciali, conveniva starsene rintanati nella propria baracca per la maggior parte della giornata. Il blog nacque così, un po’ per vedere com’era, un po’ per bisogno di comunicare.

In effetti, la cosa funzionò, piano piano mi trovai in contatto con persone affini, gente col mio stesso sentire, perché in questo mondo ci si sceglieva e, insomma, mi aiutò a confrontarmi e sentirmi meno solo.

Il melogrande mi ha fatto compagnia negli anni successivi, i più inquieti della mia inquieta vita, e non si è limitato ad accompagnarmi, è stato una specie di strumento di autoanalisi, uno specchio ed un mezzo per lavorare su me stesso. Scrivendo le cose le capivo meglio, ed i commenti mi aiutavano a chiarire le idee, fare i conti con pregiudizi e le idiosincrasie che nemmeno pensavo di avere. Ma sì, diciamolo, questo blog un po’ mi ha fatto crescere.

Mentre crescevo io, invecchiava lui. Facebook si espandeva ed inghiottiva tutto, Splinder, la piattaforma su cui avevo iniziato, chiudeva bottega costringendo me ed i miei compagni di viaggio alla migrazione. Le visite giornaliere calavano inesorabilmente. Eravamo diventati fuori moda.

Piano piano il melogrande è diventato altro, è diventato per lo più un posto dove mettere le cose che scrivo, e peraltro ne scrivo sempre meno. Ho aperto nel frattempo qualche altro blog “a tema”, per le escursioni o per i racconti sulla sicurezza, o per gioco, ma quelle sono cose diverse e non mette conto parlarne.

Insomma, mi sento un po’ come se andassi in giro in calesse per le vie di una metropoli moderna. Superato, un anziano un po’ bislacco che pare uscito da una cartolina vintage. E però i calessi sono belli, e non è scritto da nessuna parte che ciò che non è funzionale non ha diritto di esistere.

A rendere le cose più difficili, WordPress mi deve avere catalogato come un pericoloso “spammer”, per cui la maggior parte dei commenti che tento di fare sui pochi blog che resistono nel tempo finiscono nelle loro code di spam o chissà dove, ma, insomma, non compaiono. (amici, sappiatelo…). Ho tentato più volte, naturalmente, di segnalare il problema alla piattaforma, che tutte le volte mi ringrazia e mi assicura attenzione. E niente altro.

E dunque qui rimango, con le cose scritte un tempo, in cui non mi riconosco più, altre che rileggo con indulgenza, quelle che rievocano anni tormentati e bellissimi, i frammenti mai pubblicati e certi post che mi fanno constatare che un tempo ero più bravo a scrivere. Qui rimango, acciaccato dagli anni e dalle circostanze, “logoro di sogni; un tritone di marmo, roso dalle intemperie” tanto per citare ancora l’amato Yeats, nell’improbabile attesa di un nuovo sprone.

Un inizio d’anno ormai lontano un caro amico scomparso troppo presto mi augurò “un anno pieno di piacevoli imprevisti”. Ecco, non ho mai trovato un augurio migliore.

Buon 2018 a tutti.

 

White Birds

Io vorrei che fossimo, amore, uccelli bianchi sulla spuma del mare!
La fiamma della meteora ci stanca prima di appassire
e la fiamma dell'azzurra stella, bassa nel cielo della sera,
nei nostri cuori suscita, amore, una tristezza che non può morire.

Viene stanchezza da questi sognatori gravati di rugiada, il giglio e la rosa;
non sognare di loro, amata mia, né fiamma di meteora vagante,
né fiamma d'azzurra stella che indugia mentre cade la rugiada:
io vorrei che fossimo mutati in bianchi uccelli sulla spuma errante!

Isole innumerevoli mi tormentano di nostalgia, e sponde fatate
dove il tempo ci scorderebbe, il dolore mai ci raggiungerebbe;
presto lontani dalla rosa e dal giglio, corrosi dalle fiamme non saremmo,
fossimo solo bianchi uccelli, amore, sospesi sulla spuma a navigare!

  

W.B. Yeats – White Birds  

The Falling of Leaves

  

leaves
Autumn is over the long leaves that love us,
And over the mice in the barley sheaves;
Yellow the leaves of the rowan above us,
And yellow the wet wild-strawberry leaves.

Preme l’ autunno sulle lunghe amorevoli foglie
E sui topolini nei covoni d’ orzo;
Gialle le foglie del sorbo su di noi
E gialle le umide foglie delle fragole.

W.B. Yeats
  
Chi ama la poesia non può, io credo, sottrarsi al fascino di questi versi, soprattutto se riesce ad apprezzarli nell’ originale, dove ogni parola ha un valore letterale, uno simbolico ed uno musicale, il fruscio delle foglie d’ autunno risuona leggero nelle “long leaves that love us”, nelle sibilanti ripetizioni verso dopo verso.

C’è il colore ed il sapore dell’ autunno, c’ è quell’ amore che le foglie ingiallite esprimono e che Yeats ha saputo vedere come nessuno, c’ è la malinconia ed il dono prezioso dell’ introspezione.