C’è questa storia della tolleranza.
Che non ha nulla di sbagliato, naturalmente, è uno dei valori fondanti della democrazia, la lettera di Locke, il Trattato di Voltaire, l’ Illuminismo e tutto il resto, va bene.
I libri che hanno cambiato il mondo.
E certo non si può negare che la tolleranza sia preferibile all’ intolleranza ai fini della vita in comune, ci mancherebbe altro.
Però non credo di essere il solo a trovarci qualcosa di fastidioso.
L’ etimologia non tradisce mai.
E si da il caso che “tollerare” derivi dal verbo “tollere” che vuol dire “portare”. La tolleranza è un peso che si porta o si sopporta per amore del quiesto vivere. Come si fa col vecchio nonno un po’ rimbambito che interloquisce sempre a sproposito. Come si fa col bambino maleducato dei vicini che strilla ogni momento come se lo stessero ammazzando. Uno non può fare sempre la guerra a tutti su tutto, deve alzare gli occhi al cielo e tollerare, è ovvio.
Però.
Però c’è questo fastidioso sottofondo gerarchico nella tolleranza, un po’ come nel perdono, altra virtù degna di ogni lode, assolutamente, ma anche un pochino una sorta di autoelevazione guadagnata a poco prezzo, un modo di porsi talvolta persino un po’ volgare, soprattutto quando è esibito. Non è il primo aspetto che uno vede, ma se ci pensa se ne accorge facilmente.
Superior stabat lupus, pure quando perdona l’ agnello e tollera che bruchi nel pascolo sottostante. E purchè naturalmente sappia restare al suo posto senza montarsi la testa.
Ecco, diciamo che se io mi trovassi in un paese sconosciuto in mezzo ad una tribù sconosciuta, è chiaro che preferirei essere tollerato piuttosto che legato al palo della tortura, non c’è dubbio.
Però non credo che vivrei felice sentendomi tollerato.
Potendo scegliere, non vorrei affatto essere “tollerato” dai miei ospiti.
Vorrei, naturalmente, essere amato, come tutti. Se non proprio nel senso più forte del termine, almeno nel senso intellettuale e platonico, il senso nel il quale il latino usa il verbo “diligere”. Vorrei essere “diletto”.
O addirittura “eletto” ?
Non esageriamo, in casa d’ altri, moderiamo le aspettative.
Però se non amato, vorrei quanto meno essere “rispettato”. Ecco.
Parola che, vedi caso, proviene da “re-spicere”, cioè guardare indietro, come uno “speculum” o specchio. Ricambiare lo sguardo.
Questo vorrei. Vorrei che i miei ospiti non mi tollerassero sollevando lo sguardo al cielo, vorrei che mi guardassero dritto negli occhi.
L’ etimologia non tradisce mai.
Credo che la tolleranza sia il primo passo di quel difficile ed arduo cammino che porta al rispetto e in ultimo al perdono.
Se tolleriamo con sufficienza, accettiamo l'interlocutore più per cortesia sociale, più o meno pelosa, che altro.
Quello diventa un simpatico o meno oggetto di curiosità, ma come l'agnello é bene che stia al suo posto.
Se riusciamo a deporre quell'aria un po' snob, oppuire rinfoderiamo l aspada che abbiamo tra le mani e queste le tendiamo in segno di accoglienza, amicizia; trasformando la tolleranza in empatia, porteremo rispetto.
Sarà una donazione reciproca, scoprendo nell'altro pregi e difetti comuni e ci stupiremo anche delle diversità e attenderemo ad accogliere anche quelle.
E' una scelta personale ed impegnativa. Non facile e di grande sensibilità, che ci pone in gioco facendo emergere tutte le fragilità e contraddizioni personali e che in fondo ci può aiutare a superarle.
Sempre che lo vogliamo e sempre che siamo abbastanza tolleranti verso noi stessi.
…parlando per immagini: questa potrebbe essere un'alternativa a quella di sopra?
Cape, un percorso, dici ?
Non ci avevo pensato, ma può darsi.
Anche se a dire il vero mi pare che su quel percorso stiamo facendo grandi passi all' indietro.
Hannah, così è facile, sono due gattini.
Proviamo qualcosa come :
o addirittura:
Come diceva Giobbe Covatta:
"Ed infine il lupo e l' agnello giaceranno insieme, ma l' agnello dormirà ben poco…"
All'indietro forse no, ma la fermata si sta prolungando un po' troppo.
Tollerare significa impegnarsi e non solo nel presente, ma accollarsi pure un "debito" per il futuro.
Anche l'economia sentimentale, non naviga in buone acque attualmente.
… in effetti messa così se penso a certi miei simili (ad esempio a quelli con le camicie color prato, per intenderci) se arrivo alla tolleranza è già tanto per me…
Ma parliamo del personale o del sociale?
Di ambedue, immagino, dato che la società siamo noi.
Personalmente, sono d'accordo con Capeh, (anche se magari usiamo termini diversi) quando dice che bisogna cominciare con il rispetto di se stessi. Tutto vien di conseguenza, non esiste nemmeno il problema.
Certo c'è pure qualcuno che -al bando i pre-giudizi- non mi piace, nemmeno conoscendolo e capendolo: amen, in quel caso lo sopporterò, o ci proverò, come di sicuro altri fan con me (e magari perfino con te, Melo !)
Altra cosa è erigere la Tolleranza a Principio; Esistono una Costituzione, una la Carta dei Diritti Umani: sono regole che, se rispettate, renderebbero vano il concetto di 'tolleranza' così come viene usato in queste nostre decadenti democrazie.
Si tollera se non si può fare a meno di farlo, pena pene peggiori, fosse l'Inferno o la rivolta. In suo nome si accettano comportamenti addirittura violenti, per paura. La tolleranza non scaccia, magari apre i salotti ma erige una barriera.
Leggendo la spiegazione della parola "rispetto" capisco una cosa che avevo sottovalutato quando ho portato il Mostrillo a vedere Avatar: quell' Io ti vedo che era il saluto dei nativi.
mi impongo spesso la tolleranza
ma so che l'essere umano è ben poco tollerante
e non solo verso quelli che reputa "diversi"
in ogni caso, bel topic:)
Mi impongo la tolleranza
4 parole, e Red ha detto tutto.
Ora che ci penso, a proposito dei diversi: non è in certi casi mal si tollerino perché non vorremmo che si scoprissero troppo uguali?
(Ciao Red!)
A me interessava l' aspetto sociale, sul privato è più facile da controllare, benchè di sicuro che c'è gente che non mi sopporta…
Certo, il guardarsi negli occhi porta a riconoscersi come simili, e poi è più difficile non avere rispetto.
Allora provo ad esprimere un pensiero (questo vuol dire non sono tanto sicura di riuscirci..)
Mi sembra che anche tu Melo sei del parere che l'atteggiamento della "tolleranza" pregiudica il considerare se stessi in una posizione di superiorità rispetto all'altro. Per esempio a proposito della "tolleranza" di cui parlano molti italiani nei confronti degli stranieri che vivono in questo paese mi viene in mente un detto ebraico che ho postato un po' di tempo fa:
L'uomo che trova dolce la sua terra non è che un tenero princiapiante,
colui per il quale ogni terra è come la propria è già un uomo forte
ma solo è perfetto colui per il quale tutto il mondo non è che un Paese straniero
Ecco, forse possiamo provare a ricordarci di essere sempre e ovunque stranieri in mezzo a stranieri, in ogni comunità umana, dalla più grande alla più piccola, magari ci può aiutare ad essere un po' più umili…? E a ricordarci pure che ogni cosa che ci consente di vivere, la casa, la terra e i suoi frutti, i figli…non sono nostri, ma li abbiamo solo temporaneamente in custodia, e che abbiamo il dovere di farlo bene perché va tutto restituito a chi verrà dopo di noi e in buone condizioni. Anche questo concetto della custodia c'entra con il rispetto dell'altro..
Forse dico solo cose banali, però questo tuo post mi ha dato la spinta a ricordare questi pensieri, che non fa mai male ((:
Hannah, a me sembra tutt'altro che banale, perchè è vero, come dice Melo, che il privato è più facile da controllare, ed è anche vero che è facilmente manipolabile, spaventabile, portato all'intolleranza per fini politici ed alla tolleranza per contrapposizione. Il rispetto è ben altro. Perciò parti pure di noi, che nel nostro 'piccolo' facciamo la società che lasceremo a chi verrà dopo.
Ma qualcosa ci aiuta, lo ripeto perché ci tengo:
L'applicazione delle regole che ci siamo dati, rende vano il concetto di tolleranza sociale.
Ed è curioso che che a difesa di quelle regole, delle nostre regole, ci siano i tollerati.
Ancora, fanno il lavoro che noi non vogliamo più fare, che tanto mangiare mangiamo.
Hannah, una volta ho sentito Bencivegna (che da moltissimi anni insegna in America) che esercitarsi a sentirsi stranieri è un esercizio assai benefico.
Quando sei all' estero, in un posto che non conosci, magari dove parlano una lingua che non capisci, diventi consapevole di tutto.
Anche le cose più banali , alle quali normalmente non badi e che fai in modo automatico, cose come comprare il pane o prendere l' autobus, di colpo richiedono tutta la tua attenzione. Ti rendi conto improvvisamente di quanto alto sia il grado di dipendenza dagli altri.
Lillo, responsabilità della politica dovrebbe essere quello di far crescere la società, non di assecondarne gli istinti peggiori. Ma questo richiederebbe una classe politica di alto livello, intelligente e non furba.
Lasciamo perdere.
E pensa che quelle regole eran scritte per assecondare gli istinti migliori!!
Lasciamo perdere, sì.
Bella quella dell'essere straniero (ricordo il post di Hannah),
Ma.. esercitarsi ad esserlo?!?
A me serve l'esercizio contrario ( volendo).
La società dovrebbe crescere dappertutto in egual misura, ad opera di politici intelligenti, ad ovest come ad Est, a Nord come a Sud. Quello che vedo come più probabile è invece la contrapposizione violenta di forze e di culture, di economie e di religioni. Non ci serviranno i nostri bei principi per sopravvivere. L'economia occidentale è condannata, come qualsiasi economia basata sul profitto. Dallo scontro nasceranno altre forze dominanti che produrranno nuove forme di oppressione e forse questa volta saranno i padroni bianchi ad essere sterminati o ridotti in schiavitù. I giovani delle nuove generazioni inizieranno a studiare la storia dal primo giorno del Grande Rivolgimento e conosceranno i politici del passato occidentale (o meglio le loro caricature) solo attraverso i cartoons, nei quali la loro memoria sarà giustamente relegata.
Diak, credo che se i nostri princìpi non serviranno a farci sopravvivere, meno ancora ci servirà accantonarli. Magari ci serviranno per non morire sentendoci delle cacche. Ma chi lo sa!..
Non capisco quanto tu sia catastrofista, visionario o mancato regista.
Ricordi questa canzone anni '65? Roba vecchia.
Eve of distruction
Il mondo orientale, sta esplodendo
La violenza abbagliate, pallottole in caricamento
Sei abbastanza vecchio per uccidere, ma non per votare
Non credi nella guerra, ma cos’è quel fucile che stai stringendo
E anche il fiume Giordano ha dei corpi che galleggiano
Ma dimmi
Ancora e ancora, amico mio
Ah, tu non credi
Siamo alla vigilia
Della distruzione
Non capisci cosa sto cercando di dire
Non senti la paura che sento oggi?
Se il bottone viene pigiato, non c’è scampo
Non ci sarà nessuno da salvare, con il mondo in una bara
[Da un’occhiata in giro ragazzo, è costretto a spaventarti ragazzo]
E dimmi
Ancora e ancora, amico mio
Ah, tu non credi
Siamo alla vigilia
Della distruzione
Si, il mio sangue è così pazzo sembra come se si coagulasse
Sono seduto qui in contemplazione
Non posso distorcere la verità, non conosce controllo.
Una manciata di senatori non promuovono la legislazione
E le marce da sole non possono portare integrazione
Quando il rispetto umano si disintegra
Questo pazzo mondo è solo troppo frustrato
E dimmi
Ancora e ancora, amico mio
Ah, tu non credi
Siamo alla vigilia
Della distruzione
Guido, la cultura occidentale è di fatto cultura globale.
CVina e india si muovono secondo le stesse logiche, per non parlare dei paesi emergenti. Lo stesso Islam è di derivazione ebraico-cristana.
Qualunque cosa di nuovo possa nascere, nascerà credo all' interno di questa cultura, anche se non necessariamente in Europa o America.
Un po' come durante basso impero romano, quando gli Imperatori provenivano dalle province…
Lillo, quello era un inno pacifista.
Oggi, ammorbiditasi un po' la minaccia dell' apocalisse nucleare, mi sembrano al contrario tutti assai ansiosi di menare le mani.
Melogrande
sei fortunato…
hai tante belle persone con cui dialogare:)
[ciao Lillo!]
Non vedo troppo discostarsi la tolleranza "privata" da quella "pubblica".
In fondo la prima é frutto dell'educazione ricevuta ( che poi impartiremo, non dimentichiamocelo) ed elaborata nel corso della nostra esistenza ( di cui ribadisco, diamo conto alle generazioni che ci seguono).
La seconda, generata dalla prima, viene affiancata da quelle regole, leggi, norme e consuetudini che con estrema difficoltà registrano il nostro essere in questo mondo, in questa nostra società.
Come sono fondamentali le prime, così sono imprescindibili le seconde.
L'inganno fondamentale é che non tutti riescono a metterle in discussione, affrontando in prima persona "l'emigrazione", da quelle.
L'essere straniero, anche in patria, sia per l'una privata, sia per l'altra pubblica, implica in ripensamento ben forte della nostra soglia di tolleranza.
A questo punto mi vian da pensare che tolleranza, sia un'altro abito di libertà.
Libertà dai preconcetti. ma attento e curioso per la stranezza (intesa come estraneità dal proprio mondo culturleconomicopolitico) dell'interlocutore che ci sta innanzi. Sia uomo singolo, sia cultura.
Libertà di inventarsi nuovo per affrontare le nuove sfide che ci stanno davanti.
Insomma un conto é chiedere un kilo di michette a Lumezzate, un'altro é fare la stessa richiesta a Cuzco.
La fame non cambia, ma cambia come indico che ho fame.
ps: ma… a Lumezzate, se non sono vestito di verde, va bene uguale?
(ciao Red!)
Red, lo penso anch' io.
Cape, effettivamente la michetta a Cuzco la vedo dura.
Un latte di lama ?
Capeh, la curiosità è proprio la tua parola magica, libero dentro.
Ma manco a Verona si sa cos'è una michètta: ci si tollera a Vicenza.
Bravo Melo, è proprio quell'inno pacifista: eravamo piccoli, ma era nell'etere. Ci metteva in guardia (il roba vecchia era ironico, si capisce, vero?)
E allora, per quel qualcosa di nuovo che nascerà comunque all'interno di questa cultura, te ne metto un'altra, di canzone pacifista, una che chiude il cerchio ('tanto per contarcela', risponderebbe magari Diaktoros):
(Anzi, un riassunto; mi piacerebbe mettere le canzoni,ma non posto da youtube perché mi innervosiscono i video)
WHERE HAVE ALL THE FLOWERS GONE
"Dove sono finiti tutti i fiori, nel lungo tempo che è passato? Li han presi tutti le ragazze!
Dove sono finite le ragazze? Le han prese tutte i ragazzi!
Dove sono finiti i ragazzi? Tutti quanti sono soldati!
Dove son finiti i soldati? Sono tutti nelle tombe!
Dove son finite le tombe? Son ridiventate tutte fiori!
Dove son finiti i fiori? Li han presi tutti le ragazze!
E quando impareranno, allora, quando impareranno?"
Red, ma dove sei finita?
Vediamo se si riesce a sentire solo la musica, allora…
Roba vecchia, sì.
Oggi c'è voglia di menare le mani, quasi che il sostegno popolare autorizzi qualsiasi prepotenza.
E allora le canzoni di protesta, oggi, sono quelle che parlano della maggioranza …
Alta sui naufragi
dai belvedere delle torri
china e distante sugli elementi del disastro
dalle cose che accadono al disopra delle parole
celebrative del nulla
lungo un facile vento
di sazietà di impunità
Sullo scandalo metallico
di armi in uso e in disuso
a guidare la colonna
di dolore e di fumo
che lascia le infinite battaglie al calar della sera
la maggioranza sta la maggioranza sta
recitando un rosario
di ambizioni meschine
di millenarie paure
di inesauribili astuzie
Coltivando tranquilla
l'orribile varietà
delle proprie superbie
la maggioranza sta
come una malattia
come una sfortuna
come un'anestesia
come un'abitudine
per chi viaggia in direzione ostinata e contraria …
E questa volta, col tuo permesso il video ce lo metto, perché il Faber è un vedere che fa bene al cuore.
Che sorprersa! Questo pezzo di Faber lo amo in modo particolare, il testo di Alvaro Mutis ha una poesia e una forza straordinaria
…
ricorda Signore questi servi disubbidienti alle leggi del branco
è appena giusto che la fortuna li aiuti
come una svista
come un'anomalia
come un dovere…
Ieri sera ce l'avevo in mente, poi si è perso nell'ora tarda della notte…
Qui dentro pare di esser la maggioranza . E' che anche la maggioranza che c'è fuori dal tuo blog vorrebbe stare in pace col mondo… guarda, sto in una città politicamente dura dal punto di vista tolleranza; eppure i singoli cuori sono accoglienti… una volta che han la possibilità di guardare negli occhi.
Allora non si tratta più di maggioranza e minoranze, ma di mezzi per agregarsi e condividere. A meno che non ci si voglia ammantare di romanticismo e voler comunque essere minoranza.
Il che può essere una cosa buona, ma se è un'esercizio.. personale e spiritual, diciamo. Del quale, comunque, non c'è bisogno nel momento in cui si riconosce ed accetta la propria singolarità e solitudine.
Volo via, non ho manco guardato il video e sentito le canzoni… farollo. Grazie Ciao
ciao da Donatella, molto interessante…non aggiungo altre considerazioni perche' gia' avevo detto in parte la mia sul post che avevo scritto chez moi nella giornata contro l'omofobia…ma sono molto d'accordo.
se riuscissimo a pensare – no, a sentire, proprio sentire dentro – che 'gli altri' sono pezzetti di noi stessi…e che sono comunque sempre un grande specchio: non di cio' che sono 'loro', ma di cio' che siamo noi quando li guardiamo…dritto negli occhi
Ho visto il post, Cheyenne, hai scritto delle cose davvero molto belle ed invito tutti a leggerle qui.