Raccontami una storia

 

 
“(…) la morte, in un certo senso, è il culmine della vita, sia che giunga troppo presto, sia al momento giusto, se ce n’è uno. Non intendo l’ apice della fortuna, ma il punto dal quale tutta la propria vita appare nella sua vera luce,. È allora che si deve giudicare, una volta per tutte, se è stata degna di essere vissuta. “
B. Larsson – La vera storia del pirata Long John Silver
 

 
Ad un certo punto della storia evolutiva abbiamo sacrificato l’ immortalità in cambio del sesso.
Ad ogni modo, a meno di non ritornare amebe, cosa fatta capo ha, e non saremo mai più immortali.

Ci resta però la seconda domanda: che senso ha  ?
Tutta l’ avventura intellettuale dell’ uomo, la sua cultura, tutto nasce da lì.
Che senso ha ?

 
Ora, qual’ è il modo più naturale per dare un senso ad una serie di eventi ?
Come si fa ad unire le tessere di un mosaico ?

Con un racconto.
Con la narrazione.

La narrazione conferisce senso perché nel contesto di un racconto ogni evento si lega con qualcos’ altro, spiega qualcos’ altro ed è spiegato da qualcos’ altro.
Quando la storia finisce, il senso appare compiuto. Tutto ciò che è stato doveva essere perché funzionale al racconto. Ogni singolo evento, anche il più apparentemente superfluo. C’è un disegno, che è la trama del racconto.

Di racconti però se ne possono inventare molti, unico limite la fantasia del narratore, e lo stesso episodio può entrare a far parte di narrazioni diverse, essere persino usato in modo contraddittorio nei diversi racconti.
 
Viene in mente un piccolo film di culto, “I soliti sospetti”. Identica la sequenza di eventi oggettivi, diversissime ed incompatibili fra loro le narrazioni che quella sequenza utilizzavano.
Il senso di ogni narrazione è uno dei possibili sensi, un senso che non ne esclude infiniti altri. Questo è il senso del mito, un senso che può essere universale senza essere necessario.
Non c’è verità assoluta nella narrazione.

Non è abbastanza per placare l’ angoscia.
 
Quando si cresce non ci si accontenta più di un senso possibile, si vuole il senso necessario.
Si vorrebbe capire come stanno veramente le cose, confortare se stessi col pensiero che le cose non solo hanno un significato, ma quel significato è unico ed incontrovertibile, le cose andranno così perché è giusto e logico che così vadano e non c’è assolutamente nessun altro modo in cui potrebbero andare, per cui tutto, anche la precarietà della nostra esistenza terrena, anche la nostra temuta morte trovano una piena giustificazione.

 
Questo cercavano i filosofi.
 
Il problema è che non  hanno trovato ciò che cercavano.
E che oggi ci appare abbastanza evidente che questo senso unico e necessario proprio non c’è, siamo sostanzialmente frutto di un’ evoluzione casuale che c’è stata ma avrebbe potuto pure non esserci o essere molto diversa da così.
Un senso necessario non c’è.
C’è solo un racconto.

 
L’ angoscia ce la teniamo, e continuiamo a scriverci su.
E la trascendenza siamo costretti trovarla qui ed ora, nell’ incanto di un paesaggio, nella magia di un momento, nella sorpresa di un sussulto imprevisto del cuore, tutte cose che terremo con noi finchè si potrà, che racconteremo nel tentativo di condividerle o di passarle ad altri meglio che potremo.
 

“Le cose separate dalle loro storie non hanno senso. Sono semplici forme. Di una certa dimensione e peso. Quando ne abbiamo perso il significato, non hanno più neppure un nome.
(…) in effetti il racconto non è di per se una categoria ma piuttosto la categoria di tutte le categorie, poiché non c’è nulla che cada fuori dai suoi confini. Tutto è racconto. (…)
la lezione di una vita non può mai appartenere a quella vita. Solo il testimone ha il potere di valutarla.
È vissuta per l’ altro soltanto.”
 
C. Mc Carthy – Oltre il confine
 

 

 

16 commenti su “Raccontami una storia

  1. capehorn ha detto:

    Credo che l'angoscia di cui parli, stia nel limite temporale che ci é concesso. Il quì, ora, adesso é il risultato di quel baratto. Il cercare il principio di questo racconto, mi pare un tentativo di giustificare la nostra presenza. Pare una scusa, che debba lenire il silenzio evidente alla donada: perché tutto ciò? Quale é il senso? Il racconto ci tranquillizza. La trama che viaviamo, stempera la paura insita nel passo successivo e permette a mente e sentimento di organizzarsi, nei migliori dei modi, per scrivere il capitolo successivo. Lasciare memoria di se, ha una sorta di effetto calmante per le generazioni future.Cerchiamo di lasciare il meglio, come il meglio hanno cercato di lasciare i nostri avi.Su quello abbiamo continuato il racconto, sapendo però che le variabli in gioco, ne avrebbero mutato il corso, necessariamente.Ma non per questo abbiamo smesso di scrivere, di cercare, anzi viviamo anche nella speranza di migliorare il corso delle cose.Speriamo di concludere al meglio un capitolo, per avere il meglio per il successivo.Disturberà il fatto di non conoscere un domani lontano e sconosciuto, ma vivere a pieno oggi, penso che ponga buone basi per ciò che il tempo non ci concederà di vedere.Se abbiamo perso l'immortalità, abbiamo guadagnato la memoria, personale e colletiva; espandibile sicuramente da chi ci seguirà.

  2. SinuoSaStrega ha detto:

    Quante cose ci sarebbero da dire! Riflessioni che ne contengono altre…Raccontami una storia, lo chiedono i bambini per i quali la fiaba rappresenta l’ iniziazione alle metafore dell’esistenza. Anche da adulti continuiamo a pensare e a sentire la vita come storie che si compongono in una cornice spazio – temporale. Spesso ripercorriamo la nostra storia, facendo una revisione e una rilettura con andate e rutorni: quando parliamo della nostra vita a noi stessi e alle persone, le nostre spiegazioni superficiali rivelano presto le loro deficienze, ed allora sentiamo la necessità di ricorrere ai temi della nostra infanzia, della nostra famiglia. Io credo che questo ritorno al passato per vedere meglio il presente sia particolarmente attuato quando ci sentiamo incapaci di esprimere compiutamente i sentimenti e bisogni più riposti nella nostra vita presente. Un modo per giungere al mito, la narrazione più radicata nel profondo. In fondo il mito è un conforto, non certo perché corrisponda ad un principio di unità e di verità, ma perché ci avvicina a un repertorio di immagini e tematiche universalmente condivisibili come forme dell’esistenza umana, considerazione che scioglie una delle nostre angosce più labirintiche, la sensazione che nessuno ha mai percorso quel cammino complesso costellato in gran parte da delusioni, battaglie e ansie che stiamo vivendo: popolati di dei, demoni, imprese impossibili, i miti  sembrerebbero una fuga nella fantasia, mentre ci avvicinano a quei fattori invisibili che reggono dal profondo la nostra esistenza.L’idea del nostro percorso esistenziale come trama che intesse fatti non sempre connessi con evidenza è forse il modo per convivere col non senso di esistere e con l’impossibilità di raggiungere una verità definitiva che tuttavia inseguiamo con fatti e ragioni per tutta la vita. Niente resta immutabile ed ogni verità è tormentata dal fluire successivo degli eventi che ne ritessono una nuova versione. Tutti gli scopi e tutte le conclusioni sono euristici e l’ipotesi di essere alla deriva del non senso ci inchioda senza possibilità di scampo all’angoscia esistenziale. Ma il qui ed ora c'è e trova compimento nella nostra capacità di “sentire” di esistere, e se è vero che il senso di un percorso lo si capisce quando tutto è compiuto, è vero anche che la certezza del sentimento può essere raggiunta molto prima dell’ultima riflessione da necrologio.Faccio mie le parole di John Keats:“Non ho certezza di nulla se non della santità degli affetti del cuore e della verità dell’immaginazione”.

  3. melogrande ha detto:

    Nel chiedersi  il perchè della propria condizione, uno intende al tempo stesso due cose diverse, a volte senza rendersene conto. Un “perché”  è la cosiddetta “causa” ("causa  efficiente", la chiamava Aristotele, che la sapeva lunga), cioè la serie di avvenimenti che ha condotto alla condizione attuale.  Un secondo “perché” è lo scopo per cui tutto ciò avviene ( “causa finale" secondo il suddetto, che per fare vedere quanto è bravo ne elenca un altro paio, per la verità meno convincenti) Se tutto questo  non funziona, allora ci si accontenta di un racconto, qualcosa che leghi la condizione attuale ad un prima e un dopo, la inserisca in una storia, neutralizzi “la sensazione che nessuno ha mai percorso quel cammino complesso costellato in gran parte da delusioni, battaglie e ansie che stiamo vivendo”, come dice SinuoSaStrega. Attraverso il mito le vicende, le sofferenze, le ingiustizie, i tradimenti, le sconfitte, tutto ciò che accade all’ individuo non è più  un evento isolato ed incomprensibile, può essere letto come l’ ennesimo ripetersi di storie universali, comuni ad uomini e dei.   Non che si smetta di soffrire, ma forse si sente di meno il bisogno dello psicanalista …

  4. SinuoSaStrega ha detto:

    … Specialmente se si considera che anche lo psicanalista si avvale spesso di miti e storie per prendersi cura del "paziente"

  5. melogrande ha detto:

    Già.da qui non si scappa…

  6. feritinvisibili ha detto:

    Quello che dici a proposito del racconto ha molto in comune con quello che scrive Bruno Bettelheim in "il mondo incantato" a proposito della funzione dellle fiabe per i bambini.Un saluto Melo.

  7. melogrande ha detto:

    Ma certo !Un tempo i miti venivano svalutati come "fiabe per adulti", storie tipiche di un' umanità primitiva che non aveva ancora raggiunto la piena luce della ragione.Più tardi, nel novecento si è cominciata a capire l' infinita sottigliezza e ricchezza simbolica del mito, e l' importanza nel fornire punti di riferimento alla psiche individuale e nel costruire un' anima collettiva.

     

    Adesso, sono le fiabe ad essere considerate "miti per l' infanzia"… così va il mondo.

    un saluto a te, Hannah

     

  8. Lillopercaso ha detto:

    Ecco, nell'intersecarsi delle interpretazioni svariate delle varie varianti, lasciami giocare un po' coi sillogismi, ispirata da un commento di Diaktoros ed aizzata dal tuo Aristotele.1- Le amebe non si annoiano;2- io non mi annoio:3- io sono un' ameba.(Sillogismo non valido; lo sarebbe se l'ordine delle frasi fosse 1-3-2.Dando per buona la 3)1- Le amebe non hanno abbastanza immaginazione per annoiarsi;2- gli uomini si annoiano:3- gli uomini sono amebe dotati d'immaginazione.(Sillogismo non valido, sia pur con dati esatti)1- Io sono un'ameba dotata d'immaginazione;2- io non mi annoio:3- forse d'immaginazione ne ho troppa.(Sillogismo truffaldino)ERGOSONO UNA MUTANTE PRECORRO LA NUOVA ERA !i miei racconti non spiegano nulla ma sovvertono quel che già credo di sapere:l'imperativo della sopravvivenza – del gruppo, della specie, della vita – che deve andare oltre l'istinto di conservazione personale.Le angosce esistenziali fan parte della strategia? E la trascendenza di un batticuore? E i buoni sentimenti, sono indotti?La domanda è la risposta!Il non-sense è fine a se stesso e quello è il suo senso sensato!OLE' !Melo, Hannah, Capeh, SSS, Diak, e voi tutti compagni di strada e di battaglia, V.V.T.B  ! Anche questo è indotto.. Cambia qualcosa?Ps: fatemi sapere se ho capito cos'è un sillogismo.

  9. melogrande ha detto:

    Copincollo da Wikipedia

    Per controllare la validità di un sillogismo bisogna attenersi a tre regole fondamentali:

    1° Il termine medio deve essere distribuito esattamente una volta.

    2° Nessun termine finale può essere distribuito soltanto una volta

    3° Il numero delle premesse deve essere uguale al numero delle conclusioni negative.

    Ogni sillogismo che soddisfi tutte e tre le regole è valido, ogni sillogismo che non soddisfi una o più di queste regole non è valido.Dunque delle sessantaquattro forme possibili di sillogismo, quelle valide sono quattordici….ehm, tutto chiaro, vero  ? 

  10. capehorn ha detto:

    V'é da chiosare a quanto riportato prima, che il nostro ospite ha illuminato, mercé un esaustivo aiuto multimediale,sovranazionale a titolo squisitamente gratuito (nel senso che non si paga nulla) il lemma : sillogismo. Lo ha fatto con l'autorevole prudenza di chi sgombra il campo d' ogni fraintendimento. Di ciò non possiamo che apprezzarne la indubbia oculatezza.Va aggiunto che la cara Lillo, anch'ella  si é cimentata con il pensiero aristotelico. Non si é sottratta all'agone e pur manifestando perplessità sul proprio pensiero, o meglio sull'esposizione esatta di quello, ha evidenziato tutto il suo essere nell'ordine d'essere: un'ameba umana dotata d'immaginazione,che non s'annoiae sta percorrendo e precorrendo nuove vie, apostolo di una nuova era.Ma soprattutto ci vuole bene e ciò é di conforto, sperando che l'eziologia di questo suo male, volere essere una ameba umana, venga al più presto spiegata ed affrontata dagli eredi d'Esculapio, nella speranza ch'essi ce la rendano più bella e radiosa che pria.ps: per essere un Ferragosto moscissimo, mi pare di aver fatto la mia porca figura. O nò?

  11. melogrande ha detto:

    Un figurone, cape !Devo anche dire che un' ameba mutante dotata d' immaginazione, ancorché scarsa di costumi da bagno, solo qui la si incontra…

  12. utente anonimo ha detto:

    Vabbé, ma 'sti sillogismi, ti pare che li abbia capiti o no?!?Studiali!!  Che io mi tuffo a Monterosso     SPLASH

  13. utente anonimo ha detto:

    Lillo

  14. melogrande ha detto:

    Ma sì che hai capito.Ripassiamo insieme.Tutte le amebe stanno a mollo.Lillo immagina di essere un' ameba  mutante.Splash.Lillo !IL COSTUMEEEEEEEE !!!!

  15. utente anonimo ha detto:

    E tu, Capeh, non mi prendere per i…  per il… ciglio paramecio!L'ameba Scostumata 

  16. capehorn ha detto:

    Sia mai!!L'attuale mio stato d'anfiosso, me lo vieta e  come potrei se il costume non ce l'hai? Donna scostumata (senza costume da bagno, nel caso specifico!)? Vade retro !!!    

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