Un destino a caso

E se alla fine fosse solo il caso ?
Uno s’ abitua a pensare di essere l’ artefice del proprio destino, questo gli viene inculcato, se ha avuto un’ educazione rigida si trova persino a caricarsi sulle spalle il peso di ogni singolo fallimento, piccolo o grande che sia.
Responsabilità personale, nel bene o nel male.
In qualche sciamannato programma d’ intrattenimento il conduttore, ovviamente ben più scaltro di quanto voglia apparire, invita il concorrente di turno a riflettere bene prima di scegliere il prossimo pacco da aprire., elogiandolo se fa una buona scelta e compatendolo se invece la scelta è infelice, come se ci fosse un qualsiasi merito o colpa nello scegliere un numero a caso, come se una riflessione più accurata o approfondita potesse aggiungere alcunché al puro e semplice tirare un numero a caso.
E quello, a spremersi  le meningi.
Ma quando mai.
Non c’è niente da pensare e non c’è niente a cui fare attenzione, il risultato finale dipende semplicemente dal caso, esattamente come i numeri del lotto.
Che ne sa, per dire, la biglia col numero 27 di quando è uscita l’ ultima volta ?

Adesso, non voglio dire che il destino di ciascuno di noi sia interamente nelle mani del caso, ci mancherebbe altro, ci sarebbe davvero da disperarsi, o da rassegnarsi.
Però è abbastanza vero che i momenti più importanti di una vita, gli incontri speciali, la scelta del lavoro, il risultato di un progetto, possono essere condizionati dal caso in un modo che risulta oggettivamente fastidioso, per non dire di peggio.

Ho scelto il mio lavoro in modo abbastanza casuale, per dire.
Mentre ero militare avevo preparato un curriculum, una sera mi misi a consultare la Guida Monaci e copiai un certo numero di indirizzi, per sentito dire, oppure perché mi parevano promettenti, o perché il campo di attività mi sembrava gradevole.
Inviate le lettere, alcune risposte arrivarono, invitandomi ad un colloquio.
Non ero mai stato a Milano.
Il giorno fissato per il colloquio si rivelò una spettacolare giornata di trionfante primavera, cielo limpido, aria cristallina, il verde dei prati luccicava più vero del vero, sullo sfondo una parata di Alpi, Grigne in primo piano, Monte Rosa in lontananza ad ovest, non c’ era cartolina che potesse reggere il confronto.
Senza una vera consapevolezza di quanto la giornata fosse un’ eccezione, e quanto invece la norma prevedesse cieli grigi e pioggerelle interminabili, mi recai al colloquio pronto a tutto pur di non farmi sfuggire l’ occasione di lavorare in un posto del genere.
Quella bella giornata decise il mio destino ?

Non lo posso dire, però ha certamente condizionato il mio stato d’ animo ed il mio approccio a quel colloquio, mi ha predisposto positivamente, si sa che tante volte basta poco per vedere le cose in un verso piuttosto che nell’ altro, basta una piuma a far pendere la bilancia.

Le scelte che si fanno, gli incontri importanti, le svolte nette sono più spesso frutto del caso che di una vera razionale pianificazione. 
Senza poi considerare gli eventi veramente drammatici, una guerra, un terremoto, un’ alluvione, perché in quei casi il destino personale viene semplicemente spazzato via da una realtà incommensurabilmente più forte, al cui confronto ogni sforzo o decisione o applicazione personale appare miserevolmente irrilevante.
La Storia con la S maiuscola travolge gli uomini che si trovano sul suo percorso, questa è la verità, senza riguardo per colpe e meriti, ma anche la storia con la minuscola, la microstoria, la pura casualità degli eventi quotidiani può ugualmente sopraffare il disegno umano.

Questo ed altro viene da pensare leggendo l’ ultimo romanzo di Philip Roth, dal titolo “Indignazione”.

La scrittura di Roth è andata asciugandosi negli anni, l’ esuberanza umorale della sua prosa giovanile si è come distillata in una scrittura più secca ed amara, ma anche più profonda.

Inutile pensare di sfuggire al proprio destino, dice Roth da molti anni, lo diceva ad esempio, con una sorta di torrenziale invettiva, nel bellissimo romanzo corale “Pastorale Americana” il cui protagonista, un ebreo alto e biondo al punto da essere soprannominato “Lo Svedese” non riesce, per quanto disperatamente si sforzi, ad affrancarsi dalla condizione – dal destino – di ebreo, per l’ appunto.
Altrettanto accade al protagonista di “Indignazione”, studente modello che cerca soltanto, testardamente, di forgiarsi un proprio destino, lontano dall’ invasiva apprensione paterna, e dedica a questo obiettivo ogni energia, si chiude in un’ asocialità orgogliosa, in un’ autosufficienza eretta a bandiera.
Non basta.

Il destino cacciato dalla porta rientra dalla finestra, il colpo di grazia gli viene involontariamente sferrato, amara ironia, da un “amico” incaricato proprio dall’ ansioso genitore di stare accanto al figlio e proteggerlo.

Gli sforzi personali non bastano, la purezza degli intenti non garantisce il successo. Tutto può andare in malora per caso, per un dannatissimo sfortunato caso.

Questo significa che tanto vale lasciarsi andare alla deriva ? 
No, non è questo il punto.

Gli sforzi personali contano e servono, sono in certo modo “necessari”. Non si arriva da nessuna parte senza sforzo, a meno di non vincere alla lotteria, o qualcosa di simile (state pensando ad un reality televisivo ?). 

Bisogna faticare e lavorare su se stessi e sacrificarsi e cercare in ogni modo di costruirsi un futuro. 
Ma questi sforzi, pur necessari, non sono in alcun modo “sufficienti”.
Si resta esposti, nelle mani del destino o del caso o della sorte, o dell’ imponderabile che può abbattere e spazzare un intero progetto di vita come un castello di carta vola via in una tempesta.
O come una piuma nel blu del cielo.


 

42 commenti su “Un destino a caso

  1. utente anonimo ha detto:

    …attento: l’anagramma di  un destino a caso  è  ad un etos in caos.  Non so cosa voglia dire, ma mi suonava bene…
    Comunque, long nights falling safely to the ground paion una buona cura x un ethos in caos.
    Appena posso mi rileggo lo scritto: questo post su destino, caso e caos (cosa??) mi aizza le sinapsi.
    Ciao dall’Imbranauta

  2. feritinvisibili ha detto:

    Che uno degli ingredienti che ci danno la spinta ad investire energie nelle cose che facciamo sia il prodotto, come un’alchimia, della lotta tra noi e quel destino?
    Pur sapendo che quella lotta è impari non ci resta altra possibilità che questa, e penso anche alla fatica continua che facciamo nel tentativo di mantenerci integri nonostante ciò che quel destino ci riserva o ci toglie a dipspetto delle fatiche…
    La storia del ragazzo del libro di Roth mi fa pensare anche ad un’altra fatica, quella di riscattare noi stessi da quello che sembra un "destino" segnato fin dalla nascita, e a quanto noi stessi per primi non siamo liberi dentro di noi da quel destino, e a volte accettiamo certe condizioni (nel lavoro o nei rapporti) senza riconoscere in tempo che si tratta sempre della stessa trappola..
    Mi sto dilungando, ragiono scrivendo e a questo punto mi fermo qui, altrimenti vado vanti un’ora… ((:

  3. feritinvisibili ha detto:

    .. ho scritto da cani, come sempre, ma si capisce lo stesso, vero?
    l’imbranauta ed io abbiamo scritto contempopraneamente.. alla stessa identica ora, GIURO che non eravamo d’accordo… ((: Destino?!

  4. utente anonimo ha detto:

    e io ho scritto da dani

  5. melogrande ha detto:

    Da un etos in caos un destino a caso ?
    Potrebbe essere, perchè no …

    Che la lotta contro un destino che appare segnato ci dia energia vitale è una bella intuizione.
    Riutilizzo qui una citazione che ho lasciato di recente da Pannonica, è impossibile dire certe cose meglio di Saramago:

    "Al di sopra degli dei c’è il destino, Il destino è l’ ordine supremo a cui gli stessi dei aspirano, E gli uomini, quale diventa il ruolo degli uomini, Turbare l’ ordine, modificare il destino, In meglio, In meglio o in peggio, è lo stesso, quello che è necessario è impedire che il destino sia destino."

    La frase l’ avevo presa dall’  "Anno della morte di Ricardo Reis," e sempre lì ho trovato quest’ altra :

    L’ uomo deve sforzarsi sempre, per meritarsi quel suo nome di uomo, ma è meno padrone della propria persona e del proprio destino di quanto creda, il tempo, non il suo, lo farà crescere o spegnere, a volte per meriti diversi o diversamente giudicati, Cosa sarai quando andrai di notte e sarai giunto in fondo alla strada.


    Imbranauta, aizzare le sinapsi è un bel complimento, sai ?
    Grazie
     

     

     

  6. feritinvisibili ha detto:

    Sì, tutte e due le frasi di Saramago esprimono a meraviglia il senso delle nostre domande, che potere la scrittura di un vero scrittore… Saramago poi lo invidio in modo particolare..

  7. melogrande ha detto:

    Saramago è speciale, per lo stile inimitabile e per le illuminazioni abbaglianti sulla condizione umana.
    Harold Bloom lo considera l’ ulrtimo Premio Nobel meritato…

    Sai che non si è nemmeno diplomato perchè i suoi non potevano mantenerlo agli studi ?
    Giusto a proposito degli sforzi personali e di quando  un destino sembra segnato…

  8. feritinvisibili ha detto:

    Forse certi destini sono così  forti e determinati che nonostante noi stessi  forzano qualsisi condizione pur di compiersi.. la pensa più o meno così anche Hillman, nel codice dell’anima

  9. melogrande ha detto:

    Proprio a quello pensavo …

  10. Pannonica ha detto:

    c’è la presunzione di essere gli unici artefici del nostro destino,  il fatalismo che nasce dal pensare che tutto sia scritto nelle stelle, il carattere (il daimon) che è il nostro destino… e poi c’è quell’ultimo fottutissimo ingrediente che è l’imponderabile che, in un attimo, distrugge o consolida tutte le micragnose impalcature che ci affatichiamo a metter su… più o meno così, intendi?

  11. melogrande ha detto:

    Sintetica ed efficace, Pannonica…

    Sì, più o meno è così, e nello scarto fra la presunzione di poter fare ed il fatalismo di un destino segnato, proprio in quello spazio sta il ruolo  degli uomini di cui parla saramago, in quello sforzo senza se e senza ma che vale a prescindere dal risultato.

  12. utente anonimo ha detto:

    Ma perchè vale, lo sforzo? A che serve? A farci lambiccare il cervello? Allora provo a metterla così:
    lambiccarci sviluppa la ns materia grigia, fa parte del piano evolutivo, in cui il destino, anzi, quel che capita al singolo non ha più importanza: conta la specie nel suo insieme. Qualcuno obietterà che questo cervellone non ci sta portando a niente di buono. Qualcun altro risponderà che il motivo sta nel fatto che la tecnica si evolve più rapidamente di quanto non faccia la ns educazione nell’usarla e bla bla, dato che l’evoluzione genetica è lentissima (relativo, certo). Allora, si può continuare constatando che il sistema del lambiccamento non sta funzionando, e se ci autodistruggeremo un po’, anche se non ci piace,  non sarà che un vantaggio; perchè forse quel che conta non è il percorso della specie, ma della vita sul pianeta…
    Domani ti scriverò da Marte, per continuare il discorso da una prospettiva più ampia..
    Prima di dirottare le sinapsi altrove, invio un file giuntomi a mo’ di ‘Buon anno’: All’inizio ci ho visto la solita farfalla rompiscatole di Tokio che col suo battito d’ali manda a pallino tutti i progetti fatti a Cuneo; alla fine, invece, la determinatezza del destino…  
    Preventivamente, casomai non ci riuscissi, esclamo:  ACC!! Ma non c’è un modo? Ora provo..

    P:S.: Mi piace molto l’idea di Feriteinvisibili: me la vedo proprio, la dinamo, con tutte le scintille che sprigiona…
    P.P.S.: Non leggerò mai "Pastorale Americana", che mi strazia già solo riassunta come hai fatto tu.
    Sauti da Imbranauta, che legge romanzi a lieto fine

  13. melogrande ha detto:

    Perché vale lo sforzo ?
    Sai anche non è facile rispondere ?
     
    O meglio, di risposte se ne possono trovare tante, ma quando ad una domande si trovano tante risposte succede sempre che:
    1) è una buona domanda
    2) non sono buone risposte.
     
    L’ ultima che mi è venuta in mente sprimacciando sinapsi è che in fondo tutta la vita è una ribellione contro il destino, la vita è creare ordine dal disordine, strutture organiche dal caos (o dal caso ?), è la cosa meno naturale che si possa immaginare.
    Ed è uno sforzo continuo, se lo sforzo si interrompe, la vita viene meno.
     
    In questo processo di generazione dell’ ordine dal caos (che poi è un processo perdente, per fare un po’ di ordine qui devo fare molto più disordine fuori di qui) ogni essere vivente usa quello che ha, zanne, artigli zoccoli spine e corazze, ali e gambe lunghe.
    Noi il cervello abbiamo e quello usiamo, con tutti i suoi annessi e connessi, e sottoprodotti più o meno voluti che chiamiamo coscienza e volontà e destino e libero arbitrio.
     
    Sottoprodotti che a volte ma non sempre portano a considerare la realizzazione della propria vita come un po’ di più che mangiare bere dormire e riprodursi.
     
    Che poi è vero che a volte questa ribellione contro il destino va bene e a volte va male, ma non si può mai sapere se non si prova, e del resto quello che conta non è il singolo caso, su questo non c’ è dubbio, e perciò provarci serve.

    Boh. Non lo so se ti convince, qua ci vorrebbe capehorn.

    ps
    Non è un po’ freddo su marte in questa stagione ?

     
    ps2
    magari trovarne, romanzi a lieto fine

  14. utente anonimo ha detto:

    eccomi! Su Marte non ho elaborato niente: troppo freddo e tutta quella polvere rossa… affascinante, ma mi offuscava l’ottica prospettica.
    Già che c’ero ho fatto un salto sul mio pianeta, Saturno, ma i gas mi hanno obnubilata.. così son tornata ubriaca e senza nuove proposte.
    Però m’è venuto in mente un documentario visto anni fa:
    alcuni elefanti si introducevano nottetempo in un magazzino, facevan fuori una gran quantità di noci di cocco in fermentazione, si ubriacavano e scorrazzavano per il villaggio (causando non pochi danni). Il bello è che lo facevano intenzionalmente, ripetutamente, cercando e scovando attraverso l’odore i frutti che gli uomini nascondevano e difendevano. Stando al reporter, la pratica dell’ubriacarsi non è cosa che riguardi solo quel villaggio, o solo gli elefanti. Non ricordo quali altri esempi faceva, tirando in ballo vari animali, erbivori E NON, e frutti fermentati, ma anche erbe e funghi, assunti di proposito. (adesso scrivo di fretta, ma la prox volta mi documento prima: sembra una leggenda extra-metropolitana! ma l’ho visto davvero. poi controllo) . E allora?  e allora mi domando: a che pro un animale dovrebbe voler perdere lucidità’ e rendersi più vulnerabile? (Vabbè, gli elefanti non han molti nemici, ma gli altri..) Ubriaco, o drogato, abbassa la soglia dell’attenzione, perde l’equilibrio, si fa scappare la preda, o diviene più facilmente preda; si trova più impreparato davanti al pericolo inaspettato. Quindi? Quindi può essere un’educazione a reagire con maggior prontezza alle situazioni impreviste. Un tot di animali ubriachi farà una brutta fine. Un tot se la caverà. E quelli affineranno le loro difese, le loro strategie e le tramanderanno, dato che (sempre stando al documentario) , nonostante gli incidenti in cui incappano, costoro persistono nel cercare sostanze…alteranti, non mi viene la parola. Ecco. Non so più se questa era stata una mia pensata, o se l’avevo sentita in seguito. Comunque… c’entra, o no, anche se abbassa il tono filosofico?  Ci stai a prender quel che viene?
     ciao
    Imbranauta

  15. feritinvisibili ha detto:

    Mi piace un sacco questa vostra disquisizione,  stasera sono un po’ stanca per parteciparvi seriamente come vorrei, ma una cosa ve lascio qui un po’ a mò di provocazione: e se anche gli animali avessero un’anima? E se anche loro combattessero con il proprio destino e noi umani non avessimo capito proprio niente degli animali? Personalmente ho seri motivi per avere questi sospetti…

  16. utente anonimo ha detto:

    buongiorno! il resto del mondo organico, boh! ma certo faccio fatica ad immaginare che un cane, per parlare di un animale che conosco, non abbia coscienza di sè, anche se non ce lo comunica con trattati filosofici. E anch’io pensavo, mentre disquisivo di elefanti ubriachi (ma in che blog siamo capitati?), a come tutti si battano per il proprio destino, per sfuggire ad un destino ineluttabile; se con più determinazione, o disperazione, o rassegnazione* non saprei dirlo. C’è chi ha zanne e artigli, chi gambe veloci, chi si mimetizza e chi è fluorescente. L’Uomo forse è/era l’animale più imperfetto tra quelli non estinti, ed ha preso la strada evolutiva che sappiamo: è l’imperfezione che dà la spinta, e a dare una possibilità è la perfettibilità (piacerebbe a Brumbru). Anche a riguardo degli utensili, se ci pensate: il martello è nato così e così e rimasto, perfetto. Ho perso il filo. L’anima.  La mia è di certo chimica, o elettrica, quando e se mi decomporrò continuerà a far scintille e lucori, ma come un puzzle i pezzi si spargeranno un po’ qua ed un po’ la. E’ la coscienza individuale, a cui sono affezionata, che mi preoccupa e mi frega…
    Bè, ora mi spargerei anch’io tra le coltri, invece vado a lavorare (x fortuna).
    *Mi piacerebbe continuare: per esempio, discettare su ‘rassegnazione’ ed ‘accettazione’…  sulla perfettibilità… sul mimetismo! Ma vado.
    ps. il Papa scorso, o forse quello prima, ha aperto le porte del Paradiso (non so se cristiano o cattolico) ai cani.
    ciao da
    Imbranauta

  17. capehorn ha detto:

    Qualcuno mi ha chiamato ?
    Il caos e la sua ingombrante teoria.
    Mi chiedo perché noi umani, non contenti della nostra pochezza, ci siamo piccati perché tutto avesse un’ordine.
    Forse perché pochi in molti troppi sensi.
    Quasi che la mancanza del controllo di se e di ciò che circonda il genere umano, ci renda più inquieti di ciò che siamo.
    Delle cose, ne spezziamo l’essenza in quattro o più; ci arrabbattiamo affinché nulla sia lasciato al caso, tanto da rifuggire il pensiero che esiste un’imponderabile al quale non possiamo sottrarci.
    Tu Francesco mi pare che ne hai parlato poco empo fa.
    Eppure ci ritroviamo qui ad interrogarci nuovamente di come il mondo ed i suoi fatti influenzano gli atti umani.
    Quasi che gli uni non siano strettamente legati agli altri.
    Paventando il contrario e ciò ci disturba.
    E’ incontestabile che una alta percentuale degli effetti della nostra vita é frutto di un lavorio incessante di noi stessi, anche su noi stessi.
    E’ ammesso che il "mondo" pretenda una sua percentuale ed é altrettanto incontestabile che una fetta sia appannaggio di una forza incontrollata, che agisce o pare agire, in maniera tale da stravolgere ogni previsione.
    Allora la supposta padronanza del destino che ciascuno di noi cerca, sostiene, millanta?
    Deve essere riposta nelle nostre mani e solo in quelle?
    Oppure é stato il canto del grillo in Indonesia, che ha scatenato il maltempo in padania?
    Dinnanzi a questa domanda altre ed altre ancora si affollano, desiderose di ricevere al fine quella risposta definitiva, che possa finalmente far assurgerle se non a dogmi, almeno a teoremi riconosciuti.
    Ma rimaniamo qui, ad evocarci l’un l’altro, sottilmente speranzosi che ci sia qualcuno di noi che abbia risposte, che ci facciano superare quest’impasse.
    Ma non scordiamo che mentre parliamo di caos, di destino, chi ci lgge potrebbe trovare, nascosta nelle pieghe di domande risposte la via per una sua personale svolta di un certo affare, che gli sta cuore e che nulla a che fare con il problema sul tavolo.
    Pasciuti del caso, del caos, della fortuna poniamo domande a volte sbagliate, a volte da queste non vogliamo neppure una rispota e se ci viene data fingiamo di ascoltarla, timorosi di qualche verità che dimostri di quanto sia cruda la nostra nudità.

  18. melogrande ha detto:

    C’è tanta di quella carne al fuoco qui che non so da dove cominciare, magari provo a rispondere un po’ a rate …

    Elefanti ubriachi
    Questa cosa mi attizza.

    L’ unico che mi ricordo è Dumbo nel cartone disney, quello con la parata degli elefanti rosa che mi ha sempre fatto chiedere che razza di sostanze avesse assunto non l’ elefantino ma il suo disegnatore…

    L’ alcool, si sa,  ha effetti fisici piuttosto gradevoli, almeno fino al risveglio la mattina dopo, e non vedo perchè non dovrebbe essere lo stesso per un animale, non gli darei un particolare significato evoluzionistico, la fermentazione è di gran lunga troppo recente per avere avuto effetti di selezione naturale.

    Semmai la domanda che mi pongo è un’ altra, se serve almeno una bottiglia di vino per tirare ubriaco un uomo che pesa 70 chili, considerato che un elefante peserà 3 tonnellate, dove li avrà trovati quaranta cinquanta litri di vino da scolarsi ?
    E se gli elefanti sono 25 ?

     
    Ubriacatisi con un liquore, 25 elefanti hanno distrutto il giorno di Natale un villaggio del Bangladesh, mentre gli abitanti fuggivano. Il branco si e’ eccitato dopo aver bevuto il liquido con cui viene celebrato l’anno nuovo.

    e se sono 40 e bevono birra ?


    Sei elefanti selvatici sono morti fulminati in India dopo aver bevuto birra e distrutto un villaggio. E’ accaduto a Chandan Nukat, villaggio che si trova a 250 chilometri a ovest di Shillong, la capitale dello stato nordorientale del Meghalaya.
      
    Secondo quanto hanno raccontato alla polizia gli abitanti del villaggio, ieri circa 40 elefanti selvatici sono arrivati nel villaggio alla ricerca di cibo. Alcuni di loro hanno trovato della birra di riso, l’hanno bevuta e si sono imbizzarriti.

    Boh.

  19. Pannonica ha detto:

    perché vale lo sforzo? e perché vale parlarne?
    credo che il motivo sia identico: è un trucco della vita per farci continuare.
    altrimenti, come si spiega che un dibattito del genere, aperto da quando l’uomo ha imparato a pensare, non si sia ancora concluso?
    è questo il fascino e la dannazione del pensiero. il sapere che non si verrà mai a capo di nulla è una specie di rompicapo che ci sfida, ci deprime ma anche ci stimola a continuare le nostre esplorazioni alla ricerca di quella verità che più ci soddisfa.
    ne vale la pena? siamo in ballo. balliamo.
    qui ci starebbe bene David Bowie in let’s dance…

  20. melogrande ha detto:

    L’ anima degli animali è un altro bell’ argomento…

    Certo, le parole anima ed animale hanno la stessa origine, ma il fatto è che la radice è il termine greco ànemos, che vuol dire vento, cioè respiro. Ora sul fatto che gli animali respirino non ci piove, ma la cosa non ci porta da nessuna parte.

    Ci porteremmo forse avanti se solo fossimo tutti d’ accordo su che cosa è l’ anima.

    Già Aristotele, che aveva la mania di analizzare, ne aveva distinte tre, la vegetativa, la sensitiva e l’ intellettiva, le prime due delle quali in comune con gli animali.

    Se per anima intendiamo autocoscienza, la cosa si complica.
    Io penso che l’ autocoscienza sia stata il prodotto della crescita e dell’ evoluzione del cervello  il quale, diventando sempre più sofisticato e complesso, ha acquisito la capacità di comprendere fra gli oggetti del pensiero anche se stesso.
    Siccome l’ evoluzione è progressiva, può anche darsi che quanto meno gli animali superiori come le scimmie, o i cani, qualche barlume di autocoscienza ce l’ abbiano, non so.
    Certo, la differenza nella corteccia cerebrale è enorme, ma è pure possibile che l’ uomo abbia sterminato tutti i concorrenti intermedi, e che le scimmie si siano salvate proprio perchè è difficile accorgersi che pensano…

    Se poi l’ anima la intendiamo alla maniera di hillmann, come un paesaggio popolato di immagini…
    Una cosa è certa, i cani sognano, e se uno sogna un po’ di anima ce la deve avere, o no ?

  21. feritinvisibili ha detto:

    Ho anch’io una bella storia di elefanti.
    Viene da una foto che ho visto qualche anno fa, dove si vede un elefante vicino ad un compagno morto. Quello vivo ha la testa china e gli occhi chiusi, la proboscide che percorre, appoggiata morbida, il corpo del compagno morto. Poi ho iniziato a leggere: era stata fatta da un etologo che per diversi anni ha seguito la vita di un branco di elefanti  e ha osservato che non solo tutto il branco accompagnava in un luogo già stabilito chi tra loro stava per morire, ma anche che tornavano ogni anno in quel cimitero, tra le ossa dei compagni morti, e sostavano muovendosi piano tra quelle ossa toccandole ad una ad una con le proboscidi….
    Ci volevano gli etologi, nella cultura occidentale… ma immagino che tanto nella cultura africana che in quella indiana il fatto che una sorta di anima  sia una dimensione umana quanto animale i nostri simili lo avevano considerato già da un bel po’ prima dei nostri scienziati.. E mi sembra essenziale Francesco la tua osservazione sulla vastità di immagini mentali che il termine anima richiama in ognuno di noi, e che ci dai un po’ di riferimenti storico-filosofici  (e dato cheio sono del tutto ignorante in merito, perciò ti ringrazio anche)
    E sono pure d’accordo con Pannonia: il fascino e la dannazione del pensiero: produciamo un pensiero e caschiamo nella trappola di aver trovato una soluzione definitiva , magari invece è nello scorrere del pensiero che avviene la cosa più importante in noi?
      E anche se la forma è importante, magari l’essenziale -a proposito di pensiero- non sta nella sua forma compiuta, ma nella scintilla che lo provoca e che provoca a sua volta una serie infinita di scintille… ?
    p.s. adesso con la faccenda delle scintille si capisce anche meglio perché l’Imbrnauta ed io siamo amiche da 30 anni, vero? ((((:

  22. feritinvisibili ha detto:

    .. ogni tanto rileggo le cose che scrivo e mi vergogno del mio italiano… ma se le rileggessi e correggessi prima di inviarle? No niente, testa dura sono ((((:

  23. melogrande ha detto:

    Metti le scarpe rosse, Pannonica…

    Le freak c’ est chic !

  24. melogrande ha detto:

    Cape, non avevo fatto il collegamento, ma hai ragione, come al solito.

    E’ sempre il maledetto bisogno di controllo, per cui se arriva la tempesta preferisco pensare ad un dio in collera, che magari con qualche sacrificio posso provare a placarlo piuttosto che pensarmi in balia dell’ imponderabile senza poter fare nulla.

    E preferisco lottare inutilmente contro un destino avverso piuttosto che sentirmi come un sacchetto di plastica al vento (è la giornata dei video, oggi…)

  25. capehorn ha detto:

    Ragione per ragione, trovo invece che l’argomento che tu hai posto al centro sia di ben forte spessore. Tutta questa ricerca é forse dovuta al fatto che millantiamo l’anima?
    E a questa ci siam giunti perchè coscienti di noi? E questo vederci é dovuto al fatto che noi, rispetto al mondo che ci circonda oltre ad essere partecipi, siamo anche attori, registi, autori di questo enorme dramma che é la vita?
    A differenza degli animali, che consideriamo il gradino che noi superammo e che osserviamo, spinti dalla curiosità, dalla sete di sapere, noi sosteniamo avere una coscienza, che abbiamo trasformato, forse solo con le parole, in etica, morale. Soggiogando queste a complesse trame cui diamo il nome di filosofia, religione.
    Ci interroghiamo se il nostro cane sogna. Forse che riflettiamo su di lui la nostra vita, che sappiamo dalla fisiologia, che l’uomo sogna.
    Ci stupiamo che l’elefante tenti con ogni sforzo di alzare il compagno caduto e forse morto. Ma sa che quella caduta, non seguita da un’immediato ritorno in piedi, essere pericolosa. E’ l’istinto, é il marchio che si porta da innumeri secoli.
    Quanti di noi si sono posti il problema: perché noi, l’uomo, é arrivato fin quì? Così come lo vediamo, lo sentimiamo, gli siamo contigui?
    Perché noi? Forse sentiamo una struggente solitudine e per superarla continuiamo a domandarci cose di cui non riusciamo a dare risposte.
    Pannonica ha ben ragione. La ricerca a volte frustrante, fa si che coscienti di noi, possiamo dirci vivi. Siamo vivi nella misura in cui continuiamo a domandarci e speriamo di non ottenere risposte e se le otteniamo, sicuramente faremo di tutto per  assumerle come insoddisfacenti.
    Quasi che in quelle risposte esaustive, sia l’epilogo della nostra esistenza.
    Come leggi il vento di NordOvest soffia forte e quei sacchetti sono il risultato della lotta quotidiana che facciamo a noi e a ciò che ci circonda.
    Cazziamo la randa. Assicurare e procedere.

  26. Pannonica ha detto:

    massì, ballo sulla scrivania dell’ufficio, alla faccia di quel fottutissimo imponderabile!!!

  27. utente anonimo ha detto:

    Massì! Disquisiamo come se fosse lo specchio a creare l’immagine.. in realtà non ci facciamo fregare: è che ci piace disquisire, sennò perchè saremmo qui? Se fossimo vicini di casa forse balleremmo insieme, o ci faremmo una bottiglia.. Forse. Ma è meglio che parli per me sola.
    Imbranauta

  28. feritinvisibili ha detto:

    No Imbranauta parli pure per me.
    Quando parla Capeh invece io mi ammutolisco come di fronte al Saggio, e la mia non è per niente una presa per i fondelli.
    Mi pare che abbiamo fatto un bel caos qui da te Melogrande, giornata intensa… ti abbiamo dato un bel filo da torcere.. grazie per aver ospitato e condotto la vela nel mare di questi pensieri.

  29. feritinvisibili ha detto:

    .. dimenticavo: ci voleva quel video con la fine del film, dieci parole che dicono tutto… ah, i poeti!

  30. melogrande ha detto:

    Ma per me e’ un privilegio ospitarvi !

    Disquisire e’ un piacere, imbranauta, con una bottiglia di vino il piacere raddoppia, e qui mi azzardo a parlare anche a nome di cape, sicuro che non e’ nato invano in terre enologicamente eccelse.

    Sul ballo caschi un po’ male, pero’ potresti sentirti con Pannonica, magari sta ancora facendo la cubista sulla scrivania…

  31. utente anonimo ha detto:

    Pensavo proprio a lei…

    Mi sono stufata di firmarmi Imbranauta: d’ora in poi sarò Lillo.
    ps: non c’era un pezzo musicale intitolato ‘Elephant walking??
    ciao
    Lillo

  32. Pannonica ha detto:

    ma perché non siamo vicini di casa???
    io ho un rosso delle rose (nero d’avola e syrah) che sarebbe perfetto per le nostre disquisizioni. e anche dell’ottima malvasia!

  33. melogrande ha detto:

    Musica su richiesta …

  34. utente anonimo ha detto:

     Lillo

  35. feritinvisibili ha detto:

    Beh, devo proprio dire che un po’ mi dispiace che sia finita questa disquisizione a casa tua Francesco, aveva preso una buona strada con le proposte di Pannonica e di Lillo, e poi mi è rimasta un po’ sul gozzo la questione dell’anima degli animali…
    E certo, destino è che ogni disquisizione abbia una fine, e per concludere mi domando: chissà quale effetto domino nel destino abbiamo scatenato con queste nostre condivisioni viaggianti nell’etere…
    (il tono voleva essere un po’ scerzoso, ma mi sa che non si capisce.. lascio perdere, meglio che mi metto a lavorare…)

  36. melogrande ha detto:

    Effetto Domino, Hannah ?
    Intendi dire quando abbiamo finito di bere ?

    (grazie, Lillo)

  37. utente anonimo ha detto:

    Lillo

    x hannah: dirottala sul tuo blog..

  38. feritinvisibili ha detto:

    mamma mia! nooo, troppo casino con la birra… propongo vodka, facciamo prima e rispettiamo l’ambiente

  39. utente anonimo ha detto:

    (#39:  intendevo l’anima degli animali..)

  40. Aurora781 ha detto:

    Sono perfettamente d’accordo con te. All’inizio non ci credevo, poi, andando a ritroso con il pensiero, mi sono resa conto di quante situazioni mi sono capitate, quanti incontri. Era come se una mano conducesse verso di me uomini, donne e situazioni. Adesso ho imparato a non affannarmi troppo pensando a quello che verrà.  Preferisco avere fiducia e… mi sono resa conto che funziona!!!

    Un sorriso
    Aurora

  41. Pannonica ha detto:

    a me parlare con voi piace tanto…
    certo, anche una bella sbronza e una ballata seria non sarebbero male!!

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