E se avesse ragione Bruto ?

“C’è una marea

nelle cose degli uomini, che presa

quando è alta, conduce alla fortuna;

perduta questa, tutto il viaggio della vita

è confinato in secche e sventure.”

W. Shakespeare – Giulio Cesare,  IV, 3

Sui recenti avvenimenti politici italiani tacere è bello, concedendosi al massimo qualche citazione (“E’ questo il modo in cui finisce il mondo / non già con uno schianto ma con un lamento” – T. S. Eliot, oppure “La Storia si ripete sempre due volte, la prima volta come tragedia, la seconda come farsa” – K. Marx). Non stupisce tuttavia che, in circostanze che ormai tendono a ripetersi, venga sistematicamente evocata l’ Ombra del Tradimento. Conseguentemente, a seconda dello status del tradito nella percezione dei commentatori, l’ archetipo vuole che si invochi Giuda nei casi più radicali, e Bruto (figlio mio) come stadio diciamo così intermedio.

Per carità, con gli stereotipi non si discute, soprattutto se si sono stratificati nei secoli dei secoli. Dante, per dire, scaraventa i traditori nel buco più profondo dell’ inferno, quello più vicino a Satana, riserva com’ è ovvio la “pole position” al fuoriclasse Giuda, e chi ci mette vicino ? Neanche a dirlo.

“De li altri due c’ hanno il capo di sotto,

quel che pende dal nero ceffo è Bruto

vedi come si storce, e non fa motto !

e l’ altro è Cassio, che par sì membruto”.

Cesare, da parte sua, sta nel Limbo come Virgilio, perché chi abbia vissuto prima di Cristo all’ Inferno evidentemente ci può andare benissimo, se lo merita, in Paradiso invece no. Una logica un po’ curiosa, ma lasciamo stare.

Ora, su Giuda, benché lui abbia tentato di dare una sua versione dei fatti, dicendo di avere eseguito gli ordini, non è lecito discutere. Stia lì a farsi masticare. Cassio, per parte sua, sembra essere caduto nell’ oblio, sarà il nome poco eufonico, ma non viene più citato, nemmeno a titolo di ingiuria, “Traditore ! Sei come Cassio !” non s’è mai sentito, e dunque sorvoliamo. Resta Bruto, vittima da quasi duemila anni di un’ autentica macchina del fango.

Cominciamo con la storia del “fili mi”, che neppure è sicuro che Cesare abbia davvero pronunciato. Bruto non era affatto figlio di Cesare, e neppure era stato adottato. Tutte maldicenze. Bruto era un “ottimate” cioè apparteneva al partito aristocratico e conservatore. Era uno di destra, insomma, ma una destra nobile, all’ inglese, un po’ snob persino. E conseguentemente si era schierato dalla parte di Pompeo ai tempi della guerra civile contro Cesare. Conclusasi questa con la disfatta di Pompeo a Farsalo, Bruto accettò la sconfitta e scrisse a Cesare chiedendo di mettersi al suo servizio.

Disdicevole ? Può darsi, ma va detto che Bruto non per questo rinnegò le sue convinzioni, continuò a sostenerle apertamente anche di fronte a Cesare, che per questo lo rispettava. Ripensate adesso alla politica italiana nel passaggio alla cosiddetta Seconda Repubblica e sappiatemi dire.

Adesso occorre fare un po’ di attenzione alle date.

La sconfitta di Pompeo è del 48 a. C., e già l’ anno precedente, nel corso della guerra, Cesare aveva ottenuto i poteri di “dittatore”. Era questa una carica prevista dall’ ordinamento della Repubblica Romana in casi di assoluta emergenza e pericolo, e per una durata massima di sei mesi. Tutti ricordano la storia di Cincinnato, giusto ? Ecco, era una carica pensata quel tipo di circostanze, fu dittatore per esempio Quinto Fabio Massimo (il “temporeggiatore”) nel momento più drammatico delle guerre puniche, quando tutto sembrava perduto.

Diciamo però che, nell’ ultimo secolo, prima di Cesare l’ unico ad essere proclamato dittatore era stato Silla, e non era un bel precedente, soprattutto per Cesare stesso, che in quel momento aveva seriamente rischiato la pelle. La dittatura di Silla, come che sia, era durata solo un paio d’ anni, nonostante che lui se la fosse fatta prorogare a vita.

Cesare invece, a quanto pare ci prese gusto, e dopo avere allungato la durata standard da sei mesi a un’ anno nel 48, l’ anno successivo la fece portare a dieci anni, tanto per non perdere troppo tempo coi rinnovi, ed infine la ottenne anche lui “a vita” (perché Silla sì e Cesare no, deve aver pensato, naturalmente in terza persona).

Era il 44 a. C., dunque, l’ anno fatale, e Cesare era dittatore già da cinque, un fatto senza precedenti dalla fondazione di Roma. La sua statua campeggiava accanto a quella dei re, il suo seggio in senato era d’ oro, lui nemmeno si alzava in piedi quando entravano i senatori, nel Foro aveva fatto collocare una statua equestre di Alessandro Magno che a giudicare dai lineamenti del volto pareva essere il suo fratello gemello…

Roma era ancora una Repubblica ?

È pur vero che Cesare sempre, e con veemenza, rifiutò l’ appellativo di re, ma essendo tutt’ altro che sciocco, deve aver pensato che in fondo non aveva nessun bisogno di una corona. Nei fatti, sovrano di Roma lo era già. E dunque, era difficile dare torto a chi sosteneva che Cesare stava lentamente uccidendo le istituzioni repubblicane e si accingeva a diventare un tiranno.

L’ idea della congiura, a quanto pare, fu di Cassio, del resto non era un’ idea originale. I politici in ogni epoca si sono spesso accoltellati fra loro, però a quei tempi la cosa era intesa in senso strettamente letterale. E Bruto, che si vantava di discendere dall’ omonimo Bruto protagonista della cacciata di Tarquinio il Superbo, come poteva non sentirsi ribollire il sangue ? Ciò che il suo antenato aveva conquistato stava per essere nuovamente perduto, a meno che lui non intervenisse.

C’è anche da dire che, dopo il delitto, a differenza di molti altri, Bruto non perse la testa, non fuggì, non si nascose, e cercò persino di convincere il popolo romano che aveva fatto bene, che l’ uccisione di Cesare era un atto necessario per salvare le istituzioni, nell’ interesse di tutti.

Ma gli andò male.

Da un lato, io sospetto che le sue mai rinnegate tendenze aristocratiche non lo rendessero particolarmente simpatico al popolo; per di più venne fuori la storia del testamento. Cesare era stato un populista ante litteram, abilissimo nel sedurre la gente e portarla dalla sua parte, e per di più nel testamento davvero si ricordò del popolo, e generosamente, il che rese ancora meno simpatici i suoi assassini.

Shakespeare nel “Giulio Cesare” traccia una superba ricostruzione dei momenti che seguirono l’ omicidio, ricostruzione che culmina nei discorsi pubblici, e qui mostra con straordinaria maestria come il popolo venga prima affascinato dalle parole di Bruto, e poi da quelle di segno opposto di Marco Antonio. Quest’ ultimo, con finta sbadataggine, sfodera appunto il testamento, e lì per i congiurati è davvero finita. Mai, mai e poi mai parlare per primo in pubblico, soprattutto se dopo di te c’ è Marlon Brando.

L’ ultima e definitiva sfortuna di Bruto fu la comparsa di Ottaviano, lui sì figlio adottivo di Cesare, ma soprattutto un tipetto che a diciotto anni era già scafato come e più del patrigno, e lo dimostrò riuscendo là dove persino Cesare aveva fallito: con una sfilza di guerre civili si sbarazzò uno per volta di tutti coloro che potevano ostacolarlo, amici o nemici che fossero, fino ad ottenere il potere assoluto. Augusto Imperatore. Roma era finita dalla padella nella brace.

Eppure Bruto, con un po’ più di fortuna, sarebbe passato alla storia come l’ eroico tirannicida che aveva salvato la Repubblica dei padri.

Shakespeare, che si capisce bene da che parte stia, mette in bocca a Marco Antonio parole di grande rispetto nei confronti dell’ avversario sconfitto:

“Questo era il più nobile di tutti i romani (…). La sua vita era gentile e gli elementi così mischiati in lui che la Natura poteva alzarsi e dire a tutto il mondo: <Questo era un uomo !>”

E non aveva neppure torto lo stesso Bruto quando, come racconta Plutarco, si lamentava del fatto che la virtù può fare poco contro la sorte:

“O virtù miserabile, eri solo una parola nuda, ed io ti adoravo come se tu fossi vera; ma tu eri schiava della sorte”.

Sfortuna, ecco tutto.  Solo sfortuna e cattiva pubblicità.

Insomma, prima di paragonare uno qualsiasi dei nostri politici a Bruto detto “fili mi”, per favore pensiamoci su. E dopo, magari, troviamo un altro esempio.

22 commenti su “E se avesse ragione Bruto ?

  1. gialloesse ha detto:

    Bravo Melogrande, bravo davvero a chiarire un equivoco del quale l’ignoranza e la povertà di intelletto delle piccole menti si è da millenni cibata. Vogliamo parlare di altri avvenimenti storici ed importanti figure assolutamente travisati ?

  2. guido mura ha detto:

    Un po’ di storia del mondo antico non fa mai male, visto che tutti citano fatti e personaggi a sproposito e che nessuno ricava più insegnamenti da un passato che non conosce. Comunque bisogna dire che nella storia ha sempre ragione chi sopravvive e che Augusto, sebbene antipatico, abbia dato prova di un’abilità politica non comune, che gli ha consentito, alla fine, di salvare capra e cavoli, cosa che né Cesare né Bruto (e tanto meno il povero Cassio) avevano saputo fare. Se Cesare avesse manifestato devozione alle istituzioni e deferenza verso il Senato sarebbe morto di morte naturale e se Bruto e C. fossero stati meno oltranzisti e più vicini al popolo, avrebbero potuto ottenere serenamente la guida della repubblica, dato che Cesare, a quanto si sa, non stava neanche troppo bene in salute. A volte, basta un po’ di pazienza.

    • melogrande ha detto:

      Assolutamente, Ottaviano dimostrò un’ abilità politica mostruosa.

      “All’età di diciannove anni per mia sola deliberazione ed a mie spese formai un esercito con il quale restituii la libertà alla repubblica dominata e oppressa da una fazione. Per questo il senato con decreti mi accolse nell’ordine suo (…) Quelli che il mio padre trucidarono mandai in esilio punendo il loro delitto con procedimenti legali; e movendo poi essi guerra alla repubblica li vinsi due volte in battaglia. (…) dopo di aver estinto l’avvampare delle guerre civili, avendo io per consenso universale assunto il potere supremo, trasferii dalla mia persona al senato e al popolo romano il governo della repubblica. Per questo mio atto, in segno di riconoscenza, mi fu dato il titolo di Augusto per deliberazione del senato. Dopo di allora tutti sovrastai per autorità, ma potere non ebbi più ampio di quelli che in ogni magistratura mi furono colleghi”.

      Altro che “understatement”, quasi sembra più repubblicano lui di Mazzini…

      • guido mura ha detto:

        La mia opinione su Ottaviano è che meritasse il Nobel per l’ipocrisia. Comunque i migliori politici si sono, per cultura o per istinto, ispirati a lui. Tutto sommato, poi, gli effetti di questa abilità politica spesso risultano positivi per la collettività. La pax è sempre condizione migliore rispetto a una continua guerra. Solo che riuscire a mettere d’accordo poveri e ricchi, magistrati e ladri, militari e pacifisti, politici e cittadini, operai e imprenditori, lavoratori autonomi e dipendenti, professori e ignoranti, non è da tutti.

  3. shappare ha detto:

    Uccidere per la libertà, ante Christum natum, equivale a Inferno, ma uccidersi per la libertà ti garantisce quantomeno le chiavi del purgatorio
    “libertà va cercando, ch’è sì cara,
    come sa chi per lei vita rifiuta.”

    Contributo interessante,eziologico ma distaccato. Poi io tra antichità romane e Dante ci vado a nozze… Grazie per questo regalo!

  4. stileminimo ha detto:

    A dire il vero pure io feci la mia parte quando non ero nemmeno vent’enne: “All’età di diciannove anni per mia sola deliberazione ed a mie spese formai una banda di quartiere (leggasi maso) con il quale restituii la libertà alla repubblica dominata e oppressa da una fazione di tradizionalisti con il grembiule azzurro e la scritta “Addetto alla porchetta” sul pettorale. Per questo il senato con decreti mi accolse nell’ordine suo (…) Quelli che trucidarono la mascotte della banda, ovvero il porcello più grasso della cucciolata, mandai in esilio punendo il loro delitto con procedimenti legali; e movendo poi essi guerra alla repubblica li vinsi due volte in battaglia, battendoli per sette a zero al tiro della moneta sulle uova sode in occasione della sagra di S. Udalrico. (…) dopo di aver estinto l’avvampare delle guerre civili ed avendo fatto appendere i grembiuli azzurri sul pennone dell’albero della cuccagna, avendo io per consenso universale assunto il potere supremo, trasferii dalla mia persona al senato e al popolo dei masi il governo della repubblica. Per questo mio atto, in segno di riconoscenza, mi fu dato il titolo di “Augusta, la tiratrice delle dieci lire” per deliberazione del senato. Dopo di allora tutti sovrastai per autorità, ma potere non ebbi più ampio di quelli che in ogni magistratura mi furono colleghi.

    • melogrande ha detto:

      Mitica Diva Augusta !
      Nemmeno Cleopatra ebbe mai un simile appellativo…” tiratrice delle dieci lire”
      Mi prostro.
      🙂

      • stileminimo ha detto:

        No, effettivamente Cleopatra non potrebbe competere, Melo, anche perchè le lire le inventarono due o tre anni dopo che si sedette inavvertitamente su qell’aspide che le si era infilato sotto il cuscino del trono… se la mia infallibile memoria in merito a nozioni di storia antica non m’inganna.

        • melogrande ha detto:

          No, le lire c’ erano già, non avevano ancora inventato la disciplina sportiva.
          A proposito, le dieci lire venivano tirate una alla volta o tutte insieme ?

        • stileminimo ha detto:

          Una alla volta, e solo se non si riesce a prendere l’uovo sodo dopo i primi tre tiri, puoi tirarle tutte insieme con fare scazzatissimo! Ma ritengo che con le lire di una volta, quelle che tu hai postato, l’uovo sodo fosse più facile prenderlo in pieno al primo colpo… probabilmente era però poi impossibile consumarne i resti, ma pazienza. Lo si sa che gli antichi non andavano tanto per il sottile in fatto di competizione. L’unico accorgimento che rendeva piuttosto difficile la gara era che l’uovo doveva venire affettato longitudinalmente dalle quattro corde in tre fette esatte; roba da professionisti.

        • stileminimo ha detto:

          E la discplina sportiva moderna con le monete ha preso vita ovviamente da quella di allora con le lire a 4 o sei o sette corde, manco a dirlo. Più erano le corde e più sottili venivano le fette… c’era chi riusciva a fare delle fette con le lire a nove corde e venivano sottili come i petali di rosa! Una finezza!
          Mi scuso se sono andata un po’ fuori tema, ma la storia antica è la mia passione, non si fosse capito. Ci tenevo a erudire il folto pubblico di frequentatori del tuo blog.

        • stileminimo ha detto:

          Se si volevano affettare le uova in tre parti uguali (dieci punti) allora se ne tirava una sola; le corde dovevano fare da affettatrice; altrimenti tutte insieme, ma in tal caso i punti erano equivalenti al numero di fette ottenute, meno il numero di lire tirate.

  5. melogrande ha detto:

    Illuminante.
    La storia delle discipline olimpiche è interessantissima…

    • stileminimo ha detto:

      In realtà non era una disciplina olimpica; non passò mai oltre alle competizioni rionali e non venne ammessa ai Grandi Giochi perché la fazione dei poeti si oppose categoricamente: dicevano che denigrava l’incommensurabile arte poetica, per non dire la categoria. C’erano invece gli artigiani costruttori di lire che spingevano perché la disciplina divenisse sport nazionale, ma non avendo un rappresentante abbastanza valido che sapesse perorare la causa non se ne fece niente. Rimase sport da sagra di paese.

  6. Pannonica ha detto:

    Cesare deve morire

  7. lillopercaso ha detto:

    Per concludere, tra una possibile partecipazione responsabile e un padre/padrone il popolo sceglierebbe sempre la seconda opzione? (oddio, ‘partecipazione del popolo’ , nel caso di quella Roma, è un po’ tirata..)

    • melogrande ha detto:

      Oddio, “sempre” ?
      Spero proprio di no.
      Il fatto è che non ci sono regole e leggi fisse nella storia, benché in tanti abbiano preteso di averle trovate.
      Molte volte i destini restano in bilico, e quello che ho ricordato è uno di quei casi.

  8. lillopercaso ha detto:

    Spero con te. In fondo si prova ad elevarsi, no?
    Mi preoccupa il fatto che un medioevo qualunque sia in grado, in pochi secoli, di cancellare ogni passo in avanti .

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